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Scheda critica del film:

  

The Square

Il Regista
Nato a Styrso (Svezia) il 13 aprile 1974, Ruben Östlund ha iniziato la sua attività negli anni novanta come regista di video sciistici per poi andare a studiare alla scuola di cinema di Göteborg, presso la quale si è laureato nel 2001. È il cofondatore, assieme al produttore Erik Hemmendorff, della casa di produzione Plattform Produktion, che produce i suoi film.
Nel 2004 ha diretto il suo primo lungometraggio non documentaristico, Gitarrmondot (noto anche come The Guitar Mongoloid). Il film ha vinto il premio FIPRESCI alla 27ª edizione del Festival cinematografico internazionale di Mosca ed è stato candidato al Nordic Council Film Prize. Il cortometraggio di Östlund Händelse vid bank (o Incident by a Bank) ha vinto il Golden Bear come miglior cortometraggio alla 60ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino e il Grand Prix al Tampere Film Festival nel 2011.
Nel 2008 e nel 2011 rispettivamente, Östlund ha diretto altri due lungometraggi, De ofrivilliga (o Involuntary) e Play.
Nel 2014 il regista ha vinto la sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes con il film Forza maggiore.
Nel 2017 ha vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes per The Square.

Arte e Società/1
Östlund riprende la riflessione, già presente in Forza maggiore, sulla difficoltà di agire realmente secondo i propri valori, ma la astrae da una condizione di emergenza, portandola nel quotidiano di un individuo di condizione privilegiata, che tende a rimandare i conti con chi non appartiene al suo milieu.
Ma si potrebbe anche dire, altrimenti, che il regista amplia l'emergenza fino a farle inglobare la condizione sociale contemporanee in generale, anche e soprattutto là dove, per contrasto, assume maggior visibilità, vale a dire nella solidale e storicamente egualitaria Svezia. La crisi della responsabilità individuale, che Östlund illustra con toni "dogmatici" nella feroce scena della cena di gala - durante la quale nessuno si alza per aiutare i malcapitati di turno e tutti si chiudono in se stessi sperando che "non capiti a loro" - è un seme tematico che, piantato all'inizio del film, germoglia a più riprese, fino a sfociare nel disperato discorso di scuse di Christian a un ragazzino, che diventa sproloquio autoassolutorio, elegia del senso di colpa collettivo.
The Square non si può dire un film equilibrato: sfora nella lunghezza, sembra aprire sentieri e argomenti che non porta in fondo, però lo squilibrio è anche l'oggetto del discorso. Come l'arte che diviene arte anche in virtù della sua collocazione (si pensi al ready-made, l'oggetto comune traslato rispetto al suo contesto funzionale), così la vicenda di Christian è fatta di interruzioni imprevedibili del fuori contesto dentro il perimetro (che credeva chiuso e quadrato) della sua vita. Tic da sindrome di Tourette, che portano dentro l'inquadratura cinematografica di un film volutamente patinato, e di un mondo che fa della bellezza il suo credo, le immagini di mendicanti e povera gente, e mandano in cortocircuito eccesso e difetto, idealismo e cinismo, polpa e scheletro del film stesso.
Come l'oggetto dell'arte contemporanea, The Square è anche un film aperto all'interpretazione che il pubblico vorrà dare di lui, e questa, forse, è la sua caratteristica più preziosa.
(Marianna Cappi, mymovies.it)

Arte e Società/2
[…] è un film che per via del suo ironico sguardo sul mondo mercificato e vacuo dell'arte contemporanea poteva rischiare la trappola dell'intellettualismo; e invece è una commedia umana intelligente, inquietante e spiritosa. […] Come nelle pellicole precedenti di Östlund, emerge inquietante in The Square il tema che nel borghese illuminato il tarlo del senso di colpa possa trasformarsi in un boomerang, scardinandone il sistema di contraddizioni. Rispecchiandosi in quel protagonista sullo scivolo del disastro a dispetto delle buone intenzioni, Östlund ci induce a fare altrettanto, prendendo atto di non essere pronti, come ci illudiamo, a perdere posizioni a vantaggio dei meno fortunati. Una o due scene potevano essere accorciate, ma era dai tempi di Buñuel che non avevamo un così corrosivo ritratto dall'interno del fascino discreto della borghesia. Claes Bang è un ottimo Christian, Elisabeth Moss conferisce scontrosa fragilità a una problematica giornalista, l'inglese Dominic West è attore di magnifica naturalezza; e il finale gratifica con le immagini di un «Quadrato» che, senza fumose pretese artistiche, configura un vero spazio di affiatamento e fiducia. (Alessandra Levantesi Kezich, “La Stampa”, 9 novembre 2017)

Satira e frustrazioni collettive
Spiazzante commedia a fior di labbra […]. Più che la satira del mondo dell'arte (in fondo simile a quella di Sordi nelle 'Vacanze intelligenti'), colpisce il quadro di una frustrazione e di un narcisismo collettivi, continuamente sul punto di esplodere. Per almeno un'ora e mezza, il film fila su un tono azzeccato, con alcune gag memorabili […]. Poi però vuole colpire lo spettatore insistendo su una satira della borghesia facile e vecchiotta, e la tira in lungo per altri tre quarti d'ora affastellando episodi in maniera incoerente.
(Emiliano Morreale, “La Repubblica”, 21 maggio 2017)

A lezione di sociologia
Palma d'Oro a Cannes 2017, nonché candidato 2018 all'Oscar nella cinquina dei migliori film stranieri, The Square non ha soddisfatto tutti: chi ne ha ammirato l'eleganza e l'acume; chi, invece, lo ha trovato intellettualistico e snob. In effetti il regista danese Ruben Ostlund non è tipo da far sconti al pubblico: il film è una specie di ufo, che si fa beffe dell'arte contemporanea, delle nostre società 'civili' e un po' anche di chi lo guarda. Sotto, però, c'è un discorso morale (a tratti perfino moralistico) che interpella lo spettatore sul suo comportamento nel mondo globalizzato e nell'infosfera: sappiamo effettivamente comunicare come crediamo? Siamo davvero così aperti e democratici (per esempio verso gli immigrati) come pensa di sé Christian, che si rivelerà invece - più o meno inconsciamente - razzista? Attraverso di lui, personaggio senza empatia che respinge l'identificazione, incapace di guardare oltre sé stesso anche nelle relazioni amorose, il film ci obbliga a riflettere sull'egoismo generalizzato che modella le nostre vite. […] Diverse scene sono quasi una lezione di sociologia; e forse spiegano perché alcuni non lo abbiano apprezzato. A tratti The Square è un po' troppo dimostrativo: come se, da una cattedra, volesse darci una lezione intorno al declino dell'Occidente, su cui Ostlund è pronto a giurare. […] Man mano che procede, The Square diventa sempre più caustico, provocatorio e beffardo. E anche imprevedibile: il che non dovrebbe dispiacere a chi, in un film, ama trovare qualcosa d'inaspettato.
(Roberto Nepoti, “La Repubblica -Milano”, 3 agosto 2018)

Creazione, provocazione, distruzione
[…] il film parla di arte e vita, di creazione e distruzione. […] The Square punta sullo straniamento del pubblico, sulla provocazione fine a noi stessi, sull'allontanamento dalla zona comfort dello spettatore, sul cinema quale terreno residuale e però privilegiato per riflettere, ridere e provare disagio, e ripetere la serie. Satira sociale, eterodossa commedia dell'arte e commedia umana, umanissima, The Square è tante cose, ma lo si ammira ancor più per ciò che non è: banale, scontato, pastorizzato. Richiede un po' di pazienza per qualche lunghezza, qualche intorcinamento, qualche stracchezza, ma la quadratura del cerchio è preziosa, cruda e duratura: l'installazione deflagra, l'umanità barcolla, la scimmia nuda balla.
(Federico Pontiggia, “Il Fatto Quotidiano”, 10 novembre 2017)

scheda tecnica a cura di Mathias Balbi
 



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