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Scheda critica del film:

  

I segreti di Wind River

(Wind River)

 

Il regista
Taylor Sheridan è nato il 21 Maggio 1970 a Cranfills Gap, Texas.
A volte accreditato come Tayler Sheridan, ha iniziato la sua carriera da attore verso la metà degli anni novanta prendendo parte a numerose produzioni televisive, tra cui Walker Texas RangerLa signora del WestParty of Five e molte altre. Tra il 2005 e il 2007 ha interpretato il ruolo di Danny Boyd nella serie televisiva Veronica Mars. Sheridan diventa noto per il ruolo del vice sceriffo David Hale nelle prime tre stagioni della serie televisiva Sons of Anarchy. Nel 2015 inizia a lavorare come sceneggiatore e scrive per Denis Villeneuve Sicario, ottenendo una candidatura ai Writers Guild of America Award. Sicario è la prima sceneggiatura di una trilogia scritta da Sheridan che affronta il tema della moderna frontiera americana, seguita da Hell or High Water con la regia di David Mackenzie e che si conclude con la sua opera prima da regista, I segreti di Wind River.

Note di Regia (dal pressbook)
Quando ho iniziato a pensare a I segreti di Wind River, il mio primo film come regista, volevo che fosse la conclusione di una trilogia tematica che esplora la moderna frontiera americana. Partendo dall'epidemia di violenza lungo il confine statunitense/messicano in Sicario e poi passando al divario tra immensa ricchezza e povertà nella Comancheria del Texas in Hell or High Water, I segreti di Wind River è il capitolo finale di questa trilogia.
I segreti di Wind River esplora forse l’aspetto più tangibile della frontiera americana e il più grande fallimento dell'America: la riserva dei nativi americani. Da un punto di vista più intimo, è lo studio di come un uomo supera una tragedia senza mai porvi una vera fine. Da una prospettiva più ampia invece, è un approfondimento sulle conseguenze di com’è vivere in terre dove non si sarebbe mai voluto abitare. È un luogo brutale, dove il paesaggio stesso è un antagonista. È un luogo in cui la tossicodipendenza e gli omicidi uccidono più del cancro, e lo stupro è considerato un rito di passaggio per le ragazze per diventare donne. È un luogo in cui le leggi dello Stato lasciano spazio alle leggi della natura. Nessun posto in Nord America è rimasto così invariato nel secolo scorso e nessun posto in America ha sofferto tanto dei cambiamenti che vi hanno avuto luogo. (Taylor Sheridan)


Trilogia della frontiera
Con Sicario e Hell or High Water, di cui Taylor Sheridan ha firmato le sceneggiature ma lasciato la regia a terzi (Denis Villeneuve e David Mackenzie), I segreti di Wind River forma una trilogia ideale agita nei territori di frontiera. Tre poliziotti, tre indagini e una conoscenza acuta della geografia americana. Dopo il confine col Messico e le lande desolate del Texas, Sheridan trasloca in Wyoming e realizza un film solenne ispirato ai problemi endemici che avvelenano le riserve indiane. Su tutti l'abuso sessuale e la scomparsa di troppe donne amerinde in un territorio che la polizia locale, esigua e sprovveduta, non riesce a controllare. Neve e silenzio al debutto stabiliscono tono e décor del film, inserito in un universo implacabile dove la rabbia di vivere convive con la rassegnazione. L'intrigo poliziesco è semplice, il suo fluire lineare, lo scioglimento dell'enigma la sola concessione alla singolarità: un flashback esplicativo, un'intuizione collettiva muta che si fa largo all'improvviso, sospendendo l'avanzare della più tradizionale delle inchieste. Ma in fondo il soggetto è un pretesto, più importante è la geografia nella quale si iscrive, un'America marginale dove la miseria non è eccezione ma regola e il male non è un fenomeno metafisico (come per i Coen) ma un'eruzione sistemica. Naturalista, in senso zoliano, Sheridan osserva come il milieu sociale definisca i comportamenti. Jeremy Renner dona al suo cacciatore la fragilità di un uomo che ha conosciuto il dolore e ha deciso di conviverci invece di combatterlo o reprimerlo, Elizabeth Olsen incarna la giovane agente federale la cui volontà di fare bene e il sentimento di illegittimità emergono a ogni piano. 
I loro personaggi, definiti soltanto dalle loro azioni, hanno la purezza e la densità della neve, precipitazione che contribuisce al manicheismo estetico del film. Il candore profanato dalla presenza umana, dal rosso del sangue o dal blu elettrico di un parka. In quel paesaggio ingrato e portatore di una storia ancestrale di violenza, gli uomini cavalcano motoslitte che tagliano l'immensità nevosa con la rapidità di un rasoio. Tra violenza collettiva e giustizia privata, che sostituisce un'istituzione distante e carente, I segreti diWind River chiude sul cordoglio di una comunità indiana che per curare le sue ferite (ri)dipinge il volto e (re)inventa i riti antichi.
(Marzia Gandolfi, mymovies.it)

Neo-western
Nel suo zelo tassonomico, Wikipedia definisce I segreti di Wind River un neo-westernmurder mystery film. In effetti, sotto il profilo iconografico e narrativo, la definizione, pur nella sua complessità, non fa una piega. Siamo nel Wyoming, quindi l’ambientazione è western; la storia ruota intorno a due delitti dei quali va chiarito il movente e individuato il colpevole, dunque appartiene al genere poliziesco. Ma qui è il tono a fare la differenza, la malinconia di un lutto che vede in ogni singola aggressione un oltraggio alla misura e all’equilibrio dell’universo, cui fa da testimone, con la sua sola e stessa presenza, il paesaggio. E’ per questo che la risoluzione dell’enigma e la punizione del colpevole, pur nella sua perfetta e precisa corrispondenza al misfatto compiuto, non cicatrizzano nulla, non riportano le cose allo stadio precedente, né ristabiliscono alcuna armonia. Nella bellissima immagine finale due personaggi, entrambi colpiti nel profondo degli affetti dalla violenza degli uomini, siedono silenziosi davanti a una casa, gli occhi persi nello spazio che li avvolge. Forse ancora increduli della distanza che separa la bellezza dal mondo dalla scelleratezza di chi lo abita. O forse invece, per dirla con Cormac McCarthy, segnati dalla «profonda, profondissima consapevolezza del fatto che bellezza e perdita sono tutt’uno». (Leonardo Gandini, Cineforum)

La fortuna non c’è
Meno politica delle due precedenti, se non nel farsi carico della difficile esistenza di una comunità di nativi americani in riserva, l’opera penetra sottopelle per il passo desolato e lirico sin dal prologo con contrasto vittima/commento poetico (comune denominatore: l’inverno assassino), per poi elaborare l’esistenza minuta in universo di ritorni e connessioni invisibili attraverso, soprattutto, due espedienti narrativi: la complicità con elaborazione del lutto fra padri senza figlie e la scelta di dipingere l’agente Fbi come emotiva, improvvisata, non indifferente alla sofferenza. Sheridan entra nei chiaroscuri suggerendo forme senza essere plateale , sottraendo e perseguendo la via del carattere che plasma il plot, non viceversa. A maggior ragione, la svolta da “exploitation” nella cruenta parte finale con sparatoria e resa dei conti da “occhio per occhio” , appare come diniego che rincorre la spettacolarità, ma l’epigrafe non equivoca gli intenti: “Qui la fortuna non c’è. Sopravvivi o ti arrendi. I lupi uccidono i più deboli, non i più sfortunati”
(Niccolò Rangoni Machiavelli, spietati.it)

Perchè no

Pur senza impressionare, la regia di Sheridan è curata nella resa estetica finale e capace di catturare sia la bellezza crudele della natura selvaggia sia la desolazione morale e spirituale di chi vive a Wind River. È paradossale che alla fine a ridimensionare la riuscita del filmnon sia tanto l’elemento registico – con cui Sheridan da esordiente è giocoforza alle prime armi – quanto il suo cavallo di battaglia, la sceneggiatura.
Più il film scorre più il tono inquieto ma pacato della storia (la sua vera forza espressiva) viene bruscamente interrotto da passaggi dialogati o monologhi incentrati sui Grandi Temi e le Grandi Domande. Sheridan sicuramente sa scrivere anche scambi tra protagonisti di un certo spessore, ma qui si sforza davvero troppo, in un film che altrove fa del suo lavorare sotto traccia e abbassando i toni la sua forza.
Considerando che il ruolo chiave del personaggio disilluso e dolorosamente consapevole di come vada il Mondo nei precedenti lungometraggi scritti da Sheridan è stato interpretato da Jeff Bridges e Benicio del Toro, è evidente come la scelta di Wind River sia fallimentare, forse dettata da un’eccessiva prudenza, sicuramente a corto d’ispirazione. Sembra quasi che Sheridan sia piombato sul set di un film Marvel, portando via i primi due attori di seconda fascia che gli sono capitati per le mani, fregandosene dei rapporti da istituti.
Così allo spettatore rimane un semplice poliziesco di media fattura – che come genere continua a rivelarsi il rifugio e punto di partenza ideale per chi è al primo film – e il rimpianto di come avrebbe potuto essere il film con un attore capace di prenderselo sulle spalle nella sua interezza, di mettere una pezza con il proprio carisma agli sproloqui della sceneggiatura, magari riuscendo persino a farli funzionare.
(Elisa Giudici , gerundiopresente.it)

scheda tecnica a cura di Paolo Filauro
 



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