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Scheda critica del film:

  

Ma Loute

Il Regista

Insegnante di filosofia, nato a Bailleul nel 1958, Bruno Dumont compie le sue prime esperienze dietro la macchina da presa girando documentari, cortometraggi e filmati istituzionali. Il suo debutto al cinema è tardivo, all'età di 38 anni, quando gira nella sua città natale il film L'età inquieta (1996). Il film ha un successo immediato il passaggio dalla Quinzaine des Realisateurs di Cannes dove ottiene una menzione speciale alla Caméra d'or. Il suo sguardo cinematografico duro, aspro e rigoroso sulla realtà gli fa vincere il gran premio della giuria a Cannes nel 1999 con il film successivo L'humanité, nello scandalo generale. Ai due attori non professionisti vanno i premi per le migliori interpretazioni. Dumont lascia poi le terre fredde del nord francese per spostarsi in California per girare 29 Palms, un road movie tutto sesso, noia e violenza, che sarà un fiasco totale a Venezia nel 2003. Ritornato sui suoi passi, nel 2006 presenta Flandres sulla Croisette, un film sulla guerra, ed ancora una volta riceve il Gran premio del festival. Nel 2008, torna sulla Costa Azzurra per presiedere la giuria della Caméra d'or.
Del 2011 è Hors Satan, cui seguirà nel 2013 Camille Claudel 1915 (con Juliette Binoche)
Nel 2014 presenta a Cannes P’tit Quinquin, un'opera spiazzante e irresistibile, come un funerale durante il quale non si può fare a meno di ridere fino alle lacrime. Nel formato di serie TV, riscuote un grande successo (in Francia).
Infine, Ma Loute in concorso a Cannes 2016.

Dopo P’tit Quinquin
Volevo fare un film commedia, ma non riuscivo a trovare la chiave, la tonalità giusta. Accantonai l’idea per parecchio tempo, girando altri film, affrontando altri generi. Poi l’emittente Arte mi chiese di dirigere una serie TV. Mi davano
carta bianca, così decisi di imbarcarmi dell’avventura di una commedia
poliziesca, a modo mio però, sperimentando. Intuivo che l’azione drammatica avrebbe dovuto essere la forza trainante dello humor. Ho iniziato così da ciò che sapevo fare, da ciò che conoscevo, aggiungendo una dimensione
burlesca, addirittura grottesca. Il successo di P’tit Quinquin mi ha dato fiducia e ho deciso di voler prolungare questa esperienza trasferendola al
cinema, sfruttando al massimo i vantaggi che il grande schermo offre in termini di narrazione ed immagini. Desideravo che Ma Loute avesse una
qualità cinematografica e fosse al contempo spassoso. E volevo prendere le distanze dal così detto naturalismo che, mio malgrado, è da sempre attribuito alle mie opere.
(Bruno Dumont)


Ma Loute è un film divertente, nella prima metà molto divertente. Per i personaggi caricaturali - più riusciti i maschi grotteschi che le donne isteriche, già viste. Di più ancora per un certo umorismo alla Ionesco nei dialoghi - i poliziotti che si ripetono "Le scomparse sono spesso un mistero" è un tormentone che funziona benissimo. Ma soprattutto per il lato di comicità fisica: non solo Machin, ma tutti i personaggi cadono continuamente e si danno apposta o meno delle botte da orbi (cosa c'è di più divertente?), gli oggetti si rompono, le trombe sono stonate e tutti parlano in modo buffo. In particolar modo ogni classe sociale ride di come si comportano ma soprattutto parlano le altre: la zia Van Peteghem schernisce il dialetto di Ma Loute che trattiene a stento le risate per le frasi ampollose di lei, e il ciccione Machin, ovviamente, si mangia pure le parole….
"La trasgressione mi interessa, che sia l'ambiguità sessuale, il cannibalismo, l'incesto, etc. - sostiene Dumont - Posso trattare la mostruosità, il proibito, attraverso il comico." Il film è pregevole visivamente e regala risate sincere, ma alla fine piacerà anche nella misura in cui si accetta questo punto di vista.
(Alberto Mazzoni onda cinema)

Dumont ha chiesto a tutti gli attori una recitazione sopra le righe sia che si tratti del gobbo e ottuso André Van Peteghem (un Fabrice Luchini inedito e nel quale si avverte il divertimento con cui affronta il personaggio) o della di lui consorte tremebondamente ispirata (una Valeria Bruni Tedeschi palpitante). A cui si aggiunge una Juliette Binoche che sembra provare un piacere assoluto nel vedersi offerto un personaggio su cui può intervenire esagerando gesti e toni della voce. Succede di tutto in un film in cui si cade, si vola, si cammina ondeggiando e si presenta al mondo un perbenismo di facciata che si vuole contrapporre alla primitività di chi si nutre della diversità. In una molteplicità di accezioni.
(myMovies)

Ora che Bruno Dumont ha sdoganato il proprio lato grottesco e sgangherato, nel suo cinema convivono e si scontrano due anime. In superficie la farsa, poco sotto, quando non a fianco, talvolta anche nello stesso momento - con la semplice distanza di uno stacco di montaggio - la tragedia. E su tutto, come sempre (e come da sempre), il segno della Grazia.
Con Ma Loute Dumont cerca comprensibilmente di ripetere il miracolo di P'tit Quinquin, mettendo insieme ciò che insieme nel suo cinema non era mai stato o nei si era mai visto, la comica miseria della vita umana e la purezza dell'orrore, la deformazione fisica e il silenzio del male, la leggerezza della creazione pura e l'epifania della bellezza. Ciò che però in quella serie era sorprendente e naturale, in Ma Loute diventa già di per sé maniera, costringendo Dumont a calcare la mano sul grottesco e sul mostruoso, o all'opposto sul trascendente e sul mistico, portandolo a perdere il controllo sul proprio film.
E dunque ancora più surreale e cinico, questo nuovo Dumont non fa che dimostrare come il suo cinema sia soprattutto una lotta di elementi, una battaglia che esplicita in maniera fin troppo netta, accostando Grazia e miseria in modo per nulla mediato, un malessere creativo impossibile da gestire e che P'tit Quinquin aveva in qualche modo risolto. Gli stessi personaggi del film, gli altoborghesi Van Peteghem e gli ex pescatori Bufort, messi l'uno contro l'altro in una località di mare della Normandia a inizio Novecento, sono al tempo stesso in conflitto e simili, opposti che si attraggono su un piano di deformazione parossistica della realtà. La distanza sociale si accompagna alla deformazione fisica, l'ignoranza contadina alla demenza nobile, e la galleria degli orrori (in chiave di humour nerissimo e quasi demenziale) non si risparmia l'isteria e l'incesto da una parte e il cannibalismo dall'altra. Senza filtri, senza patemi, senza limite.
La vita vera marcisce, agli occhi di Dumont. Così come la sua sublimazione religiosa. Non c'è fuga, non c'è compatimento. Solo una condizione bloccata, che non è il riso, non è il pianto, ma è l'attimo che intercorre fra l'uno e l'altro.
(Roberto Manassero, Cineforum)

scheda tecnica a cura di Paolo Filauro

 



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