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Scheda critica del film:

  

Lazzaro felice

La regista
Alice Rohrwacher nasce il 29 dicembre 1981 a Fiesole, in Toscana, da madre italiana (Annalisa Giulietti) e padre tedesco (Reinhard) Trascorre l'infanzia e l'adolescenza a Castel Giorgio, in provincia di Terni, terra di origine della madre e luogo di lavoro del padre Reinhard, apicoltore.  Sua sorella è l'attrice Alba Rohrwacher. Nel 2005 ha partecipato, come sceneggiatrice, montatrice, e direttrice della fotografia, alla realizzazione di Un piccolo spettacolo, documentario in bianco e nero di Pierpaolo Giarolo. Nel 2008 è aiuto regista e montatrice in Tradurre, documentario di Pierpaolo Giarolo.
Il suo esordio come regista è avvenuto nel 2006 con la direzione de "La Fiumara", episodio del documentario collettivo Checosamanca, prodotto da Carlo Cresto-Dina. Il 2011 è l'anno del vero e proprio esordio cinematografico, con il film Corpo celeste, presentato nella Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 2011, che le vale il conferimento del Nastro d'argento al miglior regista esordiente. Nel 2014 vince il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2014 con Le meraviglie.Nello stesso anno prende parte al film collettivo 9x10 Novanta presentato al Festival di Venezia.
Lazzaro felice è stato presentato al Festival di Cannes 2018

Nota di Alice Rohrwacher  (dal pressbook)
Lazzaro Felice è la storia di una piccola santità senza miracoli, senza superpoteri o effetti speciali: la santità dello stare al mondo, e di non pensare male di nessuno, ma semplicemente di credere negli altri esseri umani. Racconta la possibilità della bontà, che gli uomini da sempre ignorano, ma che si ripresenta, e li interroga con un sorriso.

Il pifferaio magico
Insomma, cosa fa la Rohrwacher? Fa quello che fa, o dovrebbe fare, un regista: il pifferaio magico. Accordando la macchina da presa come uno strumento musicale, incanta lo spettatore trascinandolo con sé in territori che gli sono sconosciuti. Poi ci potranno piacere o meno, ma intanto li stiamo esplorando. Come i protagonisti del film che nel finale trascinano letteralmente con loro e dietro di loro la musica che hanno sentito in una chiesa, così il Lazzaro del film trascina lo spettatore in un’avventura picaresca dove dramma e commedia, cronaca e storia, mythos e logos si intrecciano in un racconto che è contemporaneamente dentro e fuori dal tempo e dallo spazio. Anche se, sia il tempo che lo spazio sono i nostri: quelli dell’altro ieri di un’Italia contadina, ignorante e totalmente succube del potere padronale, e quello di un oggi incarognito e impoverito non solo dal punto di vista economico ma soprattutto etico e morale, forse ancor peggiore di quello precedente.
Il Lazzaro del film (il giovane Adriano Tardiolo), è una sorta di “puro folle” parsifaliano, un idiot savant destinato a morire (per rinascere?) e “salvare” il suo prossimo, se di salvezza possiamo parlare. Certamente poi, nel compiere questo tragitto, perennemente in risonanza tra il realistico e il fantastico, capita di cadere in qualche trappola, di non riuscire ad eludere qualche tic e cliché, di cedere alla tentazione dell’affresco quando si è apppena padroni dell’acquarello, di procedure per bozzetti dove servirebbero dei ritratti. Come diceva il poeta: “… e il tram di mezzanotte se ne va, ma tutto questo Alice non lo sa”.
(cineforum)

Anomalo fantasy spirituale
Una fiaba, una lenta ballata, un film sulla terra e sui confini. Ridisegna le proprie coordinate geografiche il cinema di Alice Rohrwacher dopo Reggio Calabria in Corpo celeste e la campagna toscana di Le meraviglie.Dietro il volto di Lazzaro c’è San Francesco (la storia è ispirata a un libro per bambini di Chiara Frugoni), in un film sospeso tra dimensione reale e favolistica. Ma ha anche le forme di un anomalo fantasy spirituale. Gli occhi di Lazzaro sembrano proiettati in un altra dimensione. Con il protagonista sempre decentrato rispetto a tutto ciò che lo circonda: sposta la nonna, prende la gallina, fa la guardia al lupo.
 (Simone Emiliani, Sentieri Selvaggi)

Autrice libera
Una parabola morale che non fa la morale, ecco cos’è Lazzaro Felice. Attraverso il corpo magico di Lazzaro, Rohrwacher passa in rassegna il suo cinema e quello degli altri. Olmi, Taviani, Pasolini, Citti e forse tanti altri, mai semplicemente citati o sterilmente riproposti, ma introiettati al punto da oltrepassare il confine della riverenza. È un cinema che parla di cinema, talmente libero e personale che finisce per essere il “suo” cinema e nient’altro. Quello che ribadisce con orgoglio è una distanza siderale con (tutto?) il cinema italiano di oggi: nulla a che fare con i pionieri della nouvelle vague neo-neorealista, né con gli stilemi del cinema borghese, tanto meno niente da spartire con il cosiddetto “cinema femminile”. L’unicità dell’opera risiede nel suo manifesto menefreghismo verso i codici del buon cinema d’autore, del gesto allegorico riconosciuto, le aspettative di una critica che vuole riconoscere i modelli e di un pubblico che vuole pronta la spiegazione. Alice Rohrwacher fa il film che vuole fare senza preoccuparsi di nient’altro e il susseguirsi di stramberie e incoerenze, false partenze e detour non richiesti, colgono unicamente la sincerità di un’autrice libera, il cui scopo è di essere fedele alla propria visione e urgenza espressiva. Di questo brilla Lazzaro felice, un film-scatola aperta, problematico e multiforme. Un passo avanti per il cinema di Alice Rohrwacher, un’opera con cui il cinema italiano dovrà fare i conti.
(Eddie Bertozzi spietati)

Uno stile inconfondibile
A livello attoriale Alba Rohrwacher difficilmente sbaglia un colpo, e infatti la sua Antonia è una ragazza di strada sveglia e truffaldina, che sa avere generosità per il prossimo e, nonostante la bandana/straccio in testa perenne, risulta credibile. I non professionisti sono volti a cui è bello credere (purché non recitino), I professionisti sono volti a cui è bello credere (purché non recitino), Tommaso Ragno è un Tancredi (figlio viziato della marchesa) cresciuto a cui è dato troppo poco spazio.
Nota a margine, ma fondamentale: per chi scrive Lazzaro Felice è l’opera più debole di un’autrice che ha saputo, però, affermare in poco tempo un suo stile inconfondibile. Questo le va riconosciuto, nelle continue difficoltà di essere una regista donna in Italia. Ce ne sono, come si è ripetuto a Cannes, ancora troppo poche. E vanno sostenute.
(Wired)

scheda tecnica a cura di Paolo Filauro
 



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