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Scheda critica del film:

  

Julieta

Il Regista
Almodovar Cabalero Pedro è nato a  Calzada de Galatrava presso Ciudad Real, nella Castiglia-La Mancha, il 24/9/1949 da una famiglia modesta (padre mulattiere, poi enologo), che poi si trasferisce a Càceres, in Estremadura, dove compie gli studi superiori presso Francescani e Salesiani.  Nel 1969 va a Madrid insieme col fratello Agustin, dove, oltre a trovare un impiego nella Società “Telefònica”, frequenta la Scuola Nazionale di Cinema, svolgendo attività nel settore artistico e dello spettacolo, interessandosi di sceneggiatura,  ma lavorando  anche per fumetti, fotoromanzi, riviste underground e collaborando  con il gruppo teatrale “Los goliardos”(1976); lavora  per la “movida”  madrilena, creando il personaggio di Pathy Diphusa e partecipando anche come interprete.  In quel periodo incomincia a filmare in super-8, utilizzando come attore anche il fratello e sé stesso e produce cortometraggi anticonvenzionali, seguendo la cultura pop e kitsch dell’epoca e trasformandone alcuni in 35 mm., fra i quali “Folle, folle, follemente Tim”, “Salomè”(1978)  e in “Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del gruppo” (1980).  Lavorando col fratello Agustin, insieme decidono di fondare la casa di produzione “El Deseo”. Il regista, che in parte è stato influenzato dal cinema di Louis Bunuel, ma anche da quello di Federico Fellini, di R.Fassbinder e di M.Ferreri,  oltre a  fare una critica ironica della nostra società, legata in  parte anche all’educazione religiosa, spesso repressiva, analizza aspetti di ambiguità sessuale e soprattutto il comportamento delle donne, che ammira, analizzandone impulsi provocatori o sentimenti che portano a reazioni talora impreviste, anche se  riconosce nella loro varietà di comportamenti, nel quadro di un particolare “universo femminile”,  la forza intrinseca che è presente in esse e che fa loro superare le difficoltà. Il regista, che in alcuni film è stato anche attore, spesso è anche autore, talora sceneggiatore e produttore dei suoi film.

Filmografia essenziale
1982: Labirinto di passioni
1983: L’indiscreto fascino del  peccato
1986: Matador
1987: Che ho fatto  per meritare questo?
1988: Donne sull’orlo di una crisi di nervi
1990: Legami!
1991: Tacchi a spillo
1993: Kika, un  corpo in prestito
1995: Il fiore del mio segreto
1997: Carne tremula
1999. Tutto su mia madre
2002: Parla con lei
2004: La mala educatiòn
2006: Volver
2009: Gli abbracci spezzati
2011: La pelle che abito
2013: Gli amanti passeggeri
2014: Storie pazzesche (produzione)
2016: Julieta

La critica


Pedro  è tornato. Tornato al suo cinema, alle donne, al dramma, ai sentimenti, al destino, alla colpa, ai figli, alle madri. Tornato a “Tutto su mia madre”, a “Volver”, a un mondo dove il decor e il racconto è l’anima della messa in scena. Tutto è misura in “Julieta”, non meccanicità, ma misura. Il dramma si costruisce, si articola nel tempo, nel suo racconto in flashback, nelle tappe che lo fanno avanzare mentre emerge dal passato fino ad oggi attraverso gli ambienti, gli abiti, gli oggetti. Senza mai spingersi millimetro più in là dal punto in cui fermarsi.. è la scelta giusta. Perfino al di qua delle lacrime, dell’incontro, della conciliazione, del confronto--- Per la prima volta, come sanno fare le donne del cinema di Almodòvar, come tante grandi donne del cinema classico, Julieta non subisce più il destino, ma fa la sua scelta: rinuncia  alla possibilità di una nuova vita, fondata sulla rimozione, per ripercorrere e narrare il passato. Senza soluzione. Perché la soluzione è il racconto stesso.
(P. Borroni, Cineforum, 2016)

Qualcosa è cambiato nel cinema di Almodòvar. Niente pastiche hollywoodiano, nessuna effusione narrativa o profusione di personaggi, intrighi, situazioni, segreti rivelati. “Julieta” è un film secco, semplice, essenziale. In “Julieta” c’è che la vita è nuda e cruda…Un’ellissi temporale agita sotto un asciugamano che friziona i capelli della giovane madre dell’Ugarte e si solleva sul volto invecchiato della Suarez, rinchiudendo per sempre la protagonista  in una pelle che non è più quella del desiderio. L’una accesa e luminosa sotto i capelli ossigenati è la perfetta emanazione della movida e del cinema barocco di Almodòvar, in cui lo spettatore ripara innamorandosi come Julieta, di un pescatore pescato in treno,  l’altra spenta dalla colpa, la perdita e la solitudine,  vive un esilio bianco sulla terra,…in attesa che qualcuno parli con lei. Confinata nel suo appartamento e “giudicata” tre volte nel grado di giovane donna, moglie e madre dell’uomo del treno, dalle donne di servizio e dalla direttrice di un gruppo spirituale, Julieta  non si perdona e come un gene trasmette alla figlia la colpa che la tiene lontana…Julieta è un film sulla colpa, forza motrice del film e malattia morale che impedisce all’eroina di approfittare dei  regali della vita (Lorenzo)…
(M. Gandolfi, Mymovies)

 Chi si aspetta il “solito” film colorato e barocco è avvertito: questa volta  il regista spagnolo cambia radicalmente stile e messa in scena. “Julieta” è sì l’ennesimo ritratto femminile del regista, ma questa volta più trattenuto, amaro, doloroso. Perché c’è un tema che emerge dal film, oltre al peso che vi gioca il destino…il dolore, una specie di porta stretta, obbligata, attraverso cui le persone devono passare per riuscire a capire il senso della propria vita. Un dolore, che a volte è represso, sepolto, ma che finisce la sua rivincita, obbligando le persone  a farci i conti. Almodòvar riduce al minimo il gusto del racconto per limitarsi ad una serie di incontri\ritratti, dove mette in evidenza soprattutto le tensioni, le paure, le gelosie, come per ricordare allo spettatore che ogni (momentanea) gioia nasce dal dolore e dalla sofferenza di qualcun altro.   Riducendo al minimo la propria tradizionale esuberanza e la vitalità contagiosa delle sue precedenti eroine, capaci di superare ogni ostacolo, Almodòvar racconta la depressione e la sofferenza che possono catturare le persone. Un po’ per colpa dei racconti di Alice Munro…
 (P. Mereghetti, Cor. Sera, 17/5/16)

Negli ultimi film di Almodòvar … è sottesa una sua riflessione sulla condizione di cineasta in bilico tra un passato sempre più ingombrante e un presente cui riflettere su se stesso, sul proprio lavoro; è diventato il più sincero, autentico impulso espressivo: quello dell’autore, quasi intrappolato nel suo cinema diventato magistrale; è un tentativo di evolvere che passa attraverso un tormentato guardarsi indietro. In Julieta si ripropone la dialettica presente-passato, ma senza portare palesemente a galla i dilemmi del regista, piuttosto sublimandoli in una storia  che sembra occupare integralmente l’opera, senza lasciare apparentemente spazio a  divagazioni autoreferenziali  e metariflessioni
(L.Pacilio,Gli Spietati)

scheda tecnica a cura di Carla Carli

 



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