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Scheda critica del film:

  

Il cliente

(Forushande)

 

Il Regista
Nasce a Ispahan, in Iran, nel 1972. Studia letteratura, teatro e cinema presso l'Istituto del Giovane Cinema Iraniano, dove comincia a sperimentare e a realizzare i primi corti. Iscrittosi all'università di Teheran si laurea specializzandosi in cinema e teatro. Durante l'intero corso dei suoi studi scrive numerose sceneggiature e spettacoli teatrali e collabora con radio e televisione, arrivando a dirigere la serie A tale of city. Debutta su grande schermo con il confronto generazionale e non solo di Dancing in the dust, premio della critica e premio come miglior attore protagonista al Festival di Mosca. Continuano a mietere riconoscimenti anche i successivi: A beautiful city (2004), riflessione sul sistema giudiziario iraniano, (Primo premio ai Festival di Varsavia, all' India International Film Festival e al Moscow's Faces of Love Film Festival) e Fireworks wednesday, (vincitore del Festival Internazionale di Locarno e numerosi altri premi internazionali). Non tradisce le aspettative la sua quarta pellicola, l'intenso About Elly, Orso D'Argento a Berlino per la miglior regia e premiato al Tribeca Film Festival come Best Narrative Feature. Nel 2011 torna sul grande schermo alla direzione del drammatico Una separazione, ennesima prova di grande spessore narrativo e ideologico. Nel 2013 racconta un'altra separazione nel suo primo film francese, Il passato, presentato al Festival di Cannes, dove la protagonista Berenice Bejo si aggiudica il premio come migliore attrice. Tre anni dopo torna al Festival con The Salesman, liberamente ispirato a "Morte di un commesso viaggiatore" di Arthur Miller. Il film vince il premio per la miglior sceneggiatura e quello per il miglior attore, oltre ad aggiudicarsi il premio Oscar come miglior film straniero.

Censura e Storia
Chi conosce il testo di Arthur Miller sa che seppe descrivere un momento di svolta nella dimensione sociale degli States attraverso le vicende familiari del suo protagonista. È quello che anche Farhadi vuole fare, individuando in questa fase storica dell'Iran una trasformazione così veloce dal finire con lo schiacciare chi non è pronto per adattarvisi. Questa lettura sociologica viene filtrata attraverso quella che per il regista è la cartina al tornasole delle dinamiche umane: la coppia. Emad (che è anche insegnante) e Rana sono una coppia affiatata sia nel privato che sulla scena ma nella loro vita irrompe l'atto violento che ne modifica profondamente le coordinate esistenziali. Se nella donna si insinua un senso di instabilità e di paura prima ignoto, nel marito si fa strada un desiderio di fare giustizia misto ad un atavico senso di onore perduto. Finiranno con il trovarsi anch'essi dinanzi a un 'venditore' del quale dovranno decidere la sorte. Sarà proprio in questa occasione che la tenuta della loro coppia verrà messa alla prova. In tutto ciò, anche se en passant, Farhadi non si astiene dal ricordarci che in Iran la censura è ancora attiva e può decidere sulla messa in scena o meno di uno spettacolo. Come a dire che molto sta cambiando in quella società ma che alcuni vincoli sono ancora ben presenti.
(Giancarlo Zappoli, mymovies.it)

Un congegno preciso e implacabile
Se in Una separazione era chiaro fin dal titolo quale fosse lo spunto per il conflitto tra i due mondi, ora il regista mette in scena una storia che passa dalla detection al revenge movie, sebbene attraverso toni decisamente lontani da quelli del cinema di genere più commerciale. […]. Da un lato la pulizia della messa in scena, dall'altro la precisione del copione, l'andamento di una storia che si avvolge lentamente su di te e su sé stessa, catturandoti e non lasciando(si) scampo. Sono due delle caratteristiche del cinema di Asghar Farhadi che l'iraniano ha mostrato nei suoi film più noti e recenti, Una separazione e Il passato, che qui tornano intatte nella loro efficacia. Mentre si confrontano con una messa in scena di “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller, e mentre Farhadi inserisce con qualche leggera insistenza di troppo le parti teatrali del film nella sua trama principale, Emad e Rana affronteranno due percorsi quasi opposti: lei, dapprima seriamente provata dall'aggressione, supererà lentamente lo shock e si lascerà andare; lui, che all'inizio, propone di cercare di mettersi tutto dietro le spalle il più in fretta possibile, svilupperà un'ossessione che rischia di farlo diventare più carnefice che vittima.
Alla frizione tra i due protagonisti, si aggiungerà poi quella fra Emad e il responsabile dell'aggressione, cui si arriva mentre cadono man mano le tessere dell'elegante domino costruito dal regista, mentre si scivola lentamente nell'imbuto di una storia che si fa man mano più claustrofobica, venata di un sadismo che serve a mettere allo specchio una società che non ha ancora fatto i conti col proprio passato e che vive di enormi incertezze sul presente. Il congegno allestito da Farhadi è preciso e implacabile, con le sole piccolissime incertezze teatrali che sottolineano troppo i paralleli tra il testo di Miller e quello dell'iraniano. E anche se il regista gioca sempre con la stessa struttura, in questo caso non mostra esaurimento della capacità di esplorarla e renderla viva.
(Federico Gironi, comingsoon.it)

Scena teatrale e realismo sociale
Farhadi esplicita il suo procedimento estetico in maniera ancora piu’ rafforzata, inserendo il binario parallelo dello svelamento reiterato delle quinte di un allestimento teatrale di Morte di un commesso viaggiatore, che si fa dichiarata esplorazione morale del labirinto nascosto dietro la scena, […].
Pubblico e privato, amore e ossessione, fantasmi personali e spettri sociali: Farhadi mette in campo una nuova volta le tematiche portanti della propria poetica, ma sembra ancora bloccato in un loop sovraccarico in maniera progressiva e faticosa, nello girare in tondo fino a portare la tensione narrativa a uno strappo irreparabile, come succede al suo protagonista e alla sua genuina, inedita crudelta’ di aguzzino nei confronti dell’anziano uomo su cui si concentra la sezione finale del film. Seppure Farhadi riesca nel notevole esercizio di far confluire in questa lunga resa dei conti la dimensione “intima” della sua storia con quella politica (la centralita’ del contratto economico, dell’aspetto dei soldi in tutta la storia), l’afflato realista con quella chiara costruzione teatrale che i frammenti dalla pièce di Arthur Miller hanno richiamato per tutta l’opera, allo stesso tempo la claustrofobia dei toni e la ricerca spasmodica della reazione forte che inchiodi lo spettatore senza via di fuga allontanano in maniera irrevocabile l’empatia nei confronti di quanto stiamo vedendo.
(Sergio Sozzo, SentieriSelvaggi.it)

scheda tecnica a cura di Mathias Balbi

 



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