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Scheda critica del film:

  

La casa sul mare

(La villa)

Il regista

Robert Guédiguian è nato il 3 dicembre 1953, a Marsiglia, figlio di un operaio di origini armene. Dopo aver lasciato in adolescenza la sua città natale, comincia a lavorare nell'industria cinematografica come aiuto scenografo e decoratore di set. Solo successivamente, tenterà (riuscendo pienamente) la carriera di regista, creando attorno alla sua figura una vera e propria tribù di collaboratori che lavoreranno a ogni nuovo film sempre e solo con lui. Fanno parte di questo ristretto gruppo nomi celebri del cinema francese come Ariane Ascaride (conosciuta durante gli anni universitari e che poi diventerà sua moglie), Jean-Pierre Darroussin (che è uno dei suoi attori feticcio dopo il celebre Ki lo sa? del 1985), Gérard Meylan, Jean-Louis Milesi, Bernard Sasia, Laurent Lafran e Michel Vandestien. Dopo tanti titoli da lui firmati, alcuni anche poco conosciuti in Italia (Dernier été, Rouge midi, Dieu vomit les tièdes, À la vie, à la mort! e il televisivo L'argent fait la bonheur), dirige il notevoleMarius e Jeannette (1997), una pittoresca commedia francese su due anime gemelle indebitate che cercano di andare avanti con un'originale tenerezza reciproca. A seguire, Al posto del cuore (1998), trasposizione del romanzo di James Baldwin "If Beale Street Could Talk", dove racconta un'adolescenza fatta di lavori perduti e tante sbronze. Nel 2000, dirige À l'attaque!, una commedia satirica e sociale che però stavolta è incentrata su un sentimento di anti-globalizzazione che investe un'intera famiglia operaia che gestisce un garage. L'anno seguente, con La ville est tranquille, ritorna a temi sociali alla Ken Loach, per raccontare l'odissea quotidiana di chi va avanti fra una destra cinica al governo e tanto razzismo. Rubando poi al repertorio di Marcel Carné e di Julien Duvivier, realizza Marie-Jo e i suoi due amori (2002), incentrato sui patemi d'amore di una donna che non sa chi scegliere fra suo marito e il suo amante, e Mon père est ingénieur (2004). Negli anni successivi, Guédiguian ha proposto altri film, tra cui: Le voyage en Arrmenie (2005),  le passeggiate al Campo di Marte (2005) Le nevi del Kilimangiaro (2011), Au fil d’Ariane (2014) Un histoire de fou (2015).

Una ricerca del Tempo perduto
La villa, allora, è il film con cui Robert Guédiguian cerca di tirare le somme di una carriera che da sempre parla di queste cose qui, fronteggiando lui stesso la fine di un'epoca, una delicata e drammatica cesura storica, proprio come chiama a fare i suoi protagonisti. Che poi sono Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin e Gérard Meylan, gli stessi di Ki lo sa?, che non a caso viene direttamente evocato in un inserto che serve da flashback. […]. Di fronte all'impasse delle loro vite, e al senso d'impotenza di fronte a quanto è cambiato e non riconoscono più (esattamente come il mondo nuovo non riconosce più loro), c'è un solo modo - suggerisce Guédiguian - per ritrovare la speranza: aggrapparsi a quei valori di compassione e altruismo che sembrano persi perfino a sinistra, e cercare di trasformare il dramma in opportunità, la decadenza in rinascita. […] La visione politica di Guédiguian è chiara, lineare e un po' semplicistica, proprio come lo è la sua regia. Una regia che indugia troppo su quei piccoli particolari a effetto un po' patetici che piacciono tanto alle masse del ceto medio intellettuale che è il pubblico di riferimento di questo film, e che si limita a fare da appoggio a un testo che - come da sempre nel cinema del francese e di certo cinema francese - è tutto basato su dialoghi teatrali e artificiosi, strutturati per evidenziare i contenuti politici e simbolici invece che per suggerirli fra le righe. Come i suoi protagonisti, Robert Guédiguian si sente un relitto del passato, e forse lo è: e come loro, sembra sapere che ogni forma possibile di rilancio verso il futuro non lo farà comunque più diventare un protagonista, lasciando a questo film e ai suoi prossimi un valore di testimonianza, e poco più.
La villa, il ristorante e la calanca come ultimo avamposto resistenziale, per respingere gli assalti di una modernità barbara che non piace. Lo scenario naturale e culturale può anche conquistare. Ma si tratta comunque di un romanticismo malinconico di maniera, del tentativo di mantenere aperti sentieri e stili di vita che non ha alcuna vera capacità attrattiva oltre al folklore.
(Federico Gironi, comingsoon.it)

Alla fine delle utopie
Solivo e assorto, La casa sul mare celebra di nuovo quell'unione così fertile offrendo un momento di raccoglimento che fa il punto del mondo. Un intermezzo assolato che misura precisamente lo stato della classe operaia, incarnata nel film dalle figure genitoriali, costrette all'immobilità o addirittura suicidate. Il suo sguardo e il suo cast di accoliti riparano a Méjan per vegliare una coscienza che si è spenta. Quella di un padre e di una nazione che ha perduto l'intenzione del volo e l'apertura al nuovo. La sua umanità, bastonata ma battagliera, ha smarrito con lo slancio e l'azione, la certezza di essere l'homme bien. Fedele ai suoi interrogativi e alla sua collera, Guédiguian ribadisce la morte delle utopie rivoluzionarie e di una fraternité che manca crudelmente al mondo ma poi l'inaspettato accade. Il film, con la sua aria mesta di addio e disillusione, prende improvvisamente (e letteralmente) un gusto di 'marmellata' che lo conduce dove nessuno lo aspettava. Se le opere del passato, da cui l'autore pesca uno struggente brano lirico, erano marcate da una bellezza che tende alla radicalità estetica, alla spontaneità delle emozioni, a quella grazia inaudita che nasce tra il vigore solare della giovinezza e la melanconia che già la avvince, i lavori recenti indicano una fase riflessiva che riafferma il suo décor, i suoi attori, i suoi ruoli.
(Marzia Gandolfi, mymovies.it)

La resistenza
Se è vero – come diceva Truffaut – che ogni regista gira sempre lo stesso film, per Guédiguian la cosa è ancora più vera. E non perché le trame dei suoi film si somiglino o perché attori e ambientazione siano quasi sempre le stesse. Ma perché dentro l’intimità del suo cinema è racchiusa una visione del mondo che in tanti anni non è mai cambiata. L’onestà dello sguardo, – in un regista che assomiglia come pochi altri al cinema che fa – non ha mai mutato la prospettiva e il punto di vista sulle cose. La dimensione politica, in La casa sul mare, ha lo stesso rigore dei primissimi film del regista e nonostante questo non appare per nulla superata. […] Guédiguian non pone i suoi personaggi contro gli eventi, non chiede loro di cambiare le cose. Ma li spinge ad assumere una consapevolezza. Semplicemente di accettare; accettare la morte di una figlia, la fine di una relazione o perfino la malattia del padre e il lento disgregarsi della comunità. Un’accettazione che non è però sinonimo di rassegnazione. Il regista ce lo dice molto bene che le cose cambieranno in peggio (gli speculatori che trasformeranno il borgo in una località turistica, l’esercito che probabilmente troverà i bambini e li metterà in orfanotrofio) e ce lo dice soffermandosi a descrivere la morte. Ma non una morte letterale – in fondo anche quella dei due vicini di casa che si suicidano insieme, sembra surreale, quasi fiabesca – ma la morte che sta intorno a tutto quanto, che pervade ogni immagine, ogni luogo, ogni raggio di luce.
(Lorenzo Rossi, “Cineforum”, 10 aprile 2018)

Passato e presente
[…] il film è una sorta de Il grande freddo con migranti, in cui l’autore francese semina e dissemina i suoi topoi poetici: classe operaia e anziani, migranti e sessantottini, famiglia e mondo, amicizia e amore, miscelati con empatia, affabilità e, sì, speranza. Non mancano stucchevolezze e velleità ideologiche, ci mancherebbe, ma le cose belle sono di più: l’attrice Angela che cede alle tenere avances di un pescatore, il rivoluzionario Joseph imbrigliato tra giovane fidanzata (Anais Demoustier) e depressione, Armand il cuoco e la chioccia hanno una piacevole, contagiosa temperatura umana. E trasmettono una sconfinata fede nel potere, e nel piacere, del cinema. Fallibili ma vivi, piegati ma non domi, vecchi e però giovani: uomini e donne come i film, quelli che restano.
(Federico Pontiggia, cinematografo.it)

 

scheda tecnica a cura di Mathias Balbi




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