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Scheda critica del film:

  

1945

Il regista

Nato a Budapest nel 1971, Ferenc Török ha studiato regia cinematografica e televisiva presso l’Academy of Drama and Film della capitale ungherese. I suoi film sono stati proiettati in numerosi festival internazionali e hanno vinto diversi premi. È membro dell’European Film Academy dal 2007. Ha ricevuto il premio Béla Balázs dello Stato ungherese nel 2008 per i risultati eccezionali conseguiti nell’arte cinematografica e il Premio Pro Cultura Urbis della città di Budapest nel 2005.

Note sul film
1945 è tratto da un racconto (Homecoming) dello scrittore ungherese Gábor T. Szántó, i cui saggi e racconti brevi sono stati tradotti in diverse lingue e inseriti nell’antologia americana Contemporary Jewish Writing in Hungary (Paperback, 2003).Il regista Ferenc Török, come già il suo connazionale László Nemesne (Il figlio di Saul, Oscar al miglior film straniero 2016), propone un approccio cinematografico raffinato e intelligente ad un drammatico periodo di transizione della storia del suo paese. Questo film, silenziosamente commovente e avvincente, ricorda anche un altro premio Oscar al miglior film straniero del 2015, Ida del regista polacco Paweł Pawlikowski, in cui i personaggi sono costretti a fare i conti con i gravi errori umani da loro stessi commessi durante la seconda guerra mondiale. Al tempo stesso la malinconia è bilanciata in 1945 attraverso la suspence crescente e la chiave di lieve humour che serpeggia nella stessa struttura narrativa. Attraverso lo stile cinematografico di Török i dettagli diventano eloquenti simboli narrativi. I suoni, la radio che annuncia le notizie, gli oggetti, le eleganti posate d’argento, i mobili semplici ma raffinati e la candida biancheria ricamata raccontano di un piccolo mondo fragile che si sforza di dimenticare il dolore del recente passato cercando di ricostruire un tempo e un’epoca ormai perduti. Il tempo e le azioni scorrono lenti e ritmati mentre la tensione sale fino a che tutti gli elementi si incontrano in unico crocevia, pronti ad esplodere. Il racconto dello scrittore ungherese Gábor T. Szántó, Homecoming, nelle mani di Ferenc Török diventa il ritratto articolato di una società che cerca di venire a patti con i recenti orrori della guerra, vissuti, perpetrati o semplicemente tollerati per il solo guadagno personale. Un cast artistico superbo, la vivida, elegante fotografia in bianco e nero di Elemér Ragályi (The door, 2012, Jakob il bugiardo, 1999, Il fantasma dell’opera, 1989) e la direzione artistica storicamente dettagliata di Dorka Kiss (Il figlio di Saul, 2015) esaltano il racconto di questo dramma eloquente. Altrettanto degna di nota è la colonna sonora di Tibor Szemzö (L’albero della vita, 2011), che con il suo ritmo malinconico a volte ricorda le antiche melodie ebraiche e contribuisce a sostenere e punteggiare l’inquietudine e la suspence crescenti che caratterizzano il film.
(pressbook italiano)

Intervista a Ferenc Török
D.: Il film è ambientato nel 1945 in un piccolo villaggio ai piedi delle colline. Come hai scelto questo argomento?
R.: Ho iniziato a interessarmi a questo argomento 10 anni fa, quando ho letto il racconto di Gábor T. Szántó. Mi interessava molto il periodo storico subito dopo la guerra e appena prima dell’introduzione della nazionalizzazione e del comunismo, quando per un momento c’è stato un accenno alla possibilità di una transizione democratica. Le cose avrebbero anche potuto prendere una piega migliore. Il fascismo era finito, ma il comunismo non era ancora iniziato; abbiamo cercato di catturare l’atmosfera di quei pochi anni in questo film.Questo è un periodo della storia ungherese non particolarmente rappresentato né in letteratura né al cinema. Generalmente le persone si concentrano sulla seconda guerra mondiale o sulla dittatura degli anni ‘50. Io volevo presentare un quadro sociale che rappresentasse la vita in Ungheria subito dopo la guerra.
D.: Come è nata la sceneggiatura?
R.: La storia originale di Gábor T. Szántó è una novella di 10 pagine. Per prima cosa abbiamo sviluppato una drammaturgia simile alle tragedie greche, che sono costruite su unità di azione, tempo e luogo. Abbiamo creato nuovi personaggi e rafforzato il testo con dialoghi asciutti. Così il testo è diventato una sceneggiatura nel corso degli anni. Quello che mi piace di più del racconto è il modo in cui la trama, in un tempo relativamente breve - tre o quattro ore - presenta le situazioni in un modo molto visivo, senza dialogo, e simile a una ballata, che è decisamente ciò che volevamo mantenere. Ho sempre desiderato fare un film in tempo reale con i diversi punti di vista dei diversi personaggi, come in un film di Robert Altman. Mi sono ispirato anche alle strutture degli spaghetti western, come Mezzogiorno di fuoco, perché sono semplici e chiare.
(pressbook italiano)

La critica
“Girato in uno splendido bianco e nero si articola su tre piani paralleli che costruiscono l'azione. C'è la celebrazione di un matrimonio di convenienza tra il figlio del vicario, nonché droghiere del villaggio, che viene turbata dalla notizia dell'arrivo dei due misteriosi ebrei di cui osserviamo il procedere a piedi dietro il carro che porta le due casse. Il terzo piano è quello che viene innescato dal riemergere del rimosso. La guerra in Europa è ormai finita anche se la radio trasmette notizie sull'atomica sganciata a Nagasaki. I russi controllano la zona e hanno trovato chi collabora con loro. Lo status quo viene però turbato da una domanda che coinvolge tutti: cosa vogliono i due ebrei che dicono di avere nelle casse solo cosmetici e profumi? Nel recente passato la famiglia Pollak è stata denunciata e consegnata ai tedeschi che l'hanno portata nei campi di sterminio. Molti si sono appropriati dei loro averi 'legalmente'. Se i nuovi arrivati fossero intenzionati a chiederne la restituzione? Nell’Ungheria di Orban non dev'essere stato facile per Ferenc Töröc tornare ad occuparsi di un periodo storico e di azioni miserabili che si preferirebbe seppellire nell'oblio. Perché è vero che l'avversione nei confronti dei russi è palpabile ma è anche altrettanto vero che chi li detesta non ha la coscienza a posto e questo stato non risparmia né uomini né donne e neppure chi rappresenta la Chiesa”.
(Giancarlo Zappoli, in www.mymovies.it).

“Tratto da un racconto dell'ungherese Szantò, il film ha una potenza totalmente autonoma: rigoroso e magnifico bianco e nero che, nell'asciutta ieraticità, ha riferimenti alti, fra i grandi nomi del cinema classico come Dreyer. Per contrappeso, il tempo fermo dell'estate vibra di tensioni sotterranee tali da far apparire il film quasi un thriller, con un finale degno del genere. 1945 passò al Festival di Berlino 2017, dove vennero premiati un altro ungherese meritevolissimo, Corpo e anima, e il cileno Una donna fantastica (vincitore poi dell'Oscar per il miglior film straniero). È comunque da sottolineare il coraggio del regista, Ferenc Torok, fin qui sconosciuto, nel riesumare gli scheletri nell'armadio del proprio paese, nonché, guardando al presente, del regime di Orbàn, apertamente razzista e antisemita. Non solo, ma anche nel mostrare un alto tasso di antipatia verso i russi occupanti, cui invece Orbàn sembra ormai guardare come un modello; non risparmiando infine neppure la Chiesa. Come dire: pur in certi paesi sull'orlo del baratro per la civiltà, il cinema rema testardamente contro. È certo anche per merito che da parte dell'Ungheria sia stato mandato alla corsa degli Oscar per il miglior film straniero Corpo e anima in luogo di questo. Quest'ultimo però non gli è da meno e, date le precedenti scelte hollywoodiane in favore di queste tematiche, avrebbe avuto forse maggiori chance di vincere. E con pieno merito: il film s'inserisce infatti, con prepotenza, in un filone, mai del tutto sviscerato e sanato, che corre ancora per tanta parte di Europa: quello della Shoah, oltretutto rinfocolato dal preoccupante ritorno odierno di razzismo e antisemitismo”.
(Giovanni Frigerio, in “La Repubblica”, 14 maggio 2018)

scheda tecnica a cura di Guido Levi




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