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Scheda critica del film:

  

Visages, Villages

Gli autori
Agnès Varda nasce nel 1928 a Ixelles, in Belgio, Nel 1940, in fuga dalla guerra, la sua famiglia finisce nel Sud della Francia, in seguito  si trasferisce a Parigi, dove segue i corsi dell’École du Louvre e la sera quelli dell’École nationale supérieure Louis-Lumière, sezione fotografia. Lavora come fotografa per Jean Vilar quando questi fonda il festival di Avignone nel 1948 e poi per la troupe del Théâtre National Populaire al Palais de Chaillot. Realizza la sua prima personale nel cortile di casa, nel 1954. In quello stesso anno Agnès Varda passa al cinema, senza alcuna formazione. Fonda la società Ciné-Tamaris (una cooperativa) per produrre e girare il suo primo lungometraggio, La Pointe courte, che le varrà il titolo di “Nonna della Nouvelle Vague”.
In seguito gira corti e lungometraggi, film di finzione e documentari.
Nel 2003 alla Biennale di Venezia ha inizio la sua terza vita, come artista visiva.
Vive a Parigi nel XIV arrondissement, in rue Daguerre. Sposata con il regista Jacques Demy (scomparso nel 1990), ha cresciuto con lui Rosalie Varda-Demy, costumista, e Mathieu Demy, attore e regista
L’11 novembre 2017 è stata premiata con l’Oscar alla carriera..

JR, nasce nella regione di Parigi nel 1983, Vive e lavora tra Parigi e New York. Nel 2001 trova una macchina fotografica e inizia a documentare le proprie avventure notturne nella metropolitana e sui tetti di Parigi per poi incollare le immagini sui muri delle città: nasce così il suo lavoro con le fotografie monumentali in bianco e nero.
JR espone sui muri di tutto il mondo, attirando l’attenzione di coloro che non frequentano abitualmente i musei. Incolla le sue fotografie negli spazi pubblici per rivelare i volti e le testimonianze degli invisibili. Durante i collage le comunità prendono  parte al procedimento artistico, in una continuità tra attori e spettatori.

L’Oscar  alla carriera ad Agnès Varda
Ha realizzato il suo primo film nel 1954, 63 anni fa, quando il cinema era ancora un’arte giovane.
Aveva 25 anni, era autodidatta, non aveva mai scritto o letto una sceneggiatura, si ripromise di fare quell’unico film, e invece è ancor oggi una pionera, che realizza film bellissimi con un tocco così profondo e originale come quando prese in mano la prima volta una macchina da presa.
“Regista donna” è un’etichetta che potrebbe rifiutare. Naturalmente è prima di tutto e soprattutto un’artista, una forza creatrice, una mente brillante, uno spirito indomito, una comunicatrice. Quando iniziò, non fece semplicemente film che nessun’altra donna aveva fatto: erano film che nessuno aveva mai fatto. Ma è anche vero che era una tra le pochissime registe donne all’epoca, e tutti noi sappiamo cosa ciò significhi: iniziare quando non c’erano esempi da seguire, sconfiggere scetticismo e pregiudizi, affrontare tutti gli ulteriori ostacoli per una madre lavoratrice.  […] Perciò noi dobbiamo trarre forza da artiste come Agnès: dalle donne che […] hanno detto: “Io parlerò, io scriverò, io andrò lì, questa è la mia strada”. Le artiste che hanno rotto le convenzioni e liberato dalle costrizioni le generazioni successive; quelle che si sono battute per la libertà artistica.
(Angelina Jolie, Discorso per la consegna dell’Oscar alla carriera ad Agnès Varda, 11 novembre 2017)

Varda e JR fanno un discorso sullo sguardo, naturalmente, ma questo procede non per logica ferrea bensì per associazione di idee: ogni idea ne contiene un’altra, la suggerisce in modo talmente sottile da diventare impalpabile e alludere sempre a una successiva. Così gli occhiali di JR ricordano quelli di JLG («Una volta se li è tolti per me»), e così Agnès è malata agli occhi e riprende la sua puntura, esplicitando la citazione a Buñuel. L’inquadratura di una capra riporta a un’immagine di gioventù, perché nella vita dei villaggi si riflette anche la propria, in un flusso di coscienza che usa la mente come schermo per rivedersi e riconoscersi. Agnès e JR litigano o fingono di farlo, mischiano i registri, applicano il loro intento a tutto: muri bucati, edifici in costruzione, immagini in abisso. Nel tentativo più struggente Agnès ricorda la foto che ha scattato al modello Guy Bourdin, ormai scomparso, e JR la riproduce nella facciata del bunker sulla spiaggia: ma il mare la porta via, il defunto svanisce anche per immagine ricostruita. La fotografia e il cinema si fermano davanti a un limite, la morte, vuoto che possono saturare solo per qualche istante
Emanuele Di Nicola Gli spietati

il film, che è stato candidato all’Oscar come migliore documentario, è anche un inno al cinema, che non rinnega il proprio linguaggio, cita le proprie opere passate (tra gli altri si vedono frammenti di “Cleo dalla 5 alla 7” e del cortometraggio con Godard e la Karina “Les fiancés du pont Mac Donald”) e si sofferma sugli amori del tempo che fu: da quello personale per Jacques Demy a quello artistico per Jean-Luc Godard, al quale viene comunque riservato un finale insieme drammatico e beffardo
Insomma, “Visages villages”, presentato rigorosamente anche sugli schermi italiani in lingua originale con sottotitoli, è un’opera intima anche se per molti versi spiazzante,  sia per la sua libertà espositiva, sia per certi suoi sviluppi narrativi, che comprendono anche un commosso omaggio alla tomba del fotografo Henri Cartier Bresson.
Aldo Viganò, FilmDoc

scheda tecnica a cura di Ombretta Arvigo
 



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