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Scheda critica del film:

    

Tutti pazzi a Tel Aviv

(Tel Aviv on fire)

Il Regista
Sameh Zoabi, regista e sceneggiatore palestinese, è nato nel 1975 a Iksal, in Israele, a pochi chilometri di distanza da Nazareth, Zoabi si è laureato alla Tel Aviv University in Cinema e Letteratura inglese, ricevendo una borsa di studio per continuare il suo percorso alla Columbia University. Regista nel 2005 di un corto selezionato dal Festival di Cannes, ha debuttato nel 2010 nel lungometraggio con la commedia Man Without a Cell Phone, a cui nel 2013 ha fatto seguito il drammatico Under the Same Sun. Da sceneggiatore, ha firmato The Idol, commedia dal grande successo in tutto il mondo.

Cosa dice la Critica?


“Uno spasso vero, dalla prima all’ultima scena.(..)“Tel Aviv brucia” è il titolo di una soap opera che si gira a Ramallah, il trentenne Salam fa l’assistente di produzione.(..).I colori sono esagerati quanto la recitazione, la scrittura ha svolte e toni da melodramma. “Sei una bomba”, dice il generale alla finta Rachel (vestita con eleganza parigina, o almeno quel che in medio oriente viene considerata eleganza parigina). Salam si oppone, la battuta non va bene: in un contesto esplosivo, la parola bomba va evitata, non è un complimento adatto a una signora. (..)In questo contesto da “Pallottole su Broadway” di Woody Allen – il gangster che trova le battute mosce, “i criminali non parlano così” – entra Assi, il comandante del posto di blocco che Salam attraversa due volte al giorno(..). “Faccio lo sceneggiatore”, si vanta Salam con la ragazza dei suoi sogni (adesso, prima l’aveva lasciata per futili motivi). Risposta: “Ma se non riesci a stare seduto per cinque minuti”.”
(MariaRosa Mancuso. Il Foglio)

L’escamotage metacinematografico fornisce il quadro storico oltrepassando il limite della finzione per raccordarsi con il presente, getta le basi di una separazione tra i popoli mai ricomposta senza soffermarsi sulle recriminazioni. (..)L’enfasi cromatica e sonora grottesca dello scenggiato televisivo viene  decontestualizzata dal paradosso di una realtà dai tratti surreali per comporre un unico grande affresco di una società che sembra ancora possedere degli anticorpi dopo una così lunga malattia.Se l’approccio visivo è logicamente quello tipico del cinema arabo, considerate le location, la scrittura a quattro mani dello stesso Zoabi e di Dan Kleinman segue i dettami del cinema mainstream occidentale di impronta statunitense.”
(Antonio D'Onofrio, Sentieri Selvaggi )


“"A Parigi non c'è l'occupazione", dice la diva francese Tala (la splendida attrice belga Lubna Azabal, indimenticabile protagonista del capolavoro di Denis Villeneuve "La donna che canta"), Star della popolarissima soap palestinese "Tel Aviv brucia", a Salam, giovanotto senza grandi possibilità o aspirazioni (..) Lui appartiene alla generazione che ha vissuto l'intifada e tutte le successive fasi del conflitto israeliano-palestinese, quindi la sua conoscenza è legata anche ad esperienze dolorose, che la sceneggiatura, firmata dal regista insieme a Dan Kleinman, cerca di delineare in chiave tragicomica (..)Il tandem Salam-Assi potrebbe ricordare quello fra l'autore teatrale John Cusack e lo chaffeur mafioso Chazz Palminteri in "Pallottole su Broadway" di Allen, anche se in questo caso non è in ballo nessun talento particolarmente straordinario e i due, pur mettendoci il cuore in quello che fanno, si rivelano più che altro due fortunati dilettanti allo sbaraglio. Naturalmente è facile immaginare che(..)L'israeliano e il palestinese possono collaborare fra loro e anche giungere a risultati inaspettatamente positivi che fanno ottenere loro gratificazioni (..)”
(Mirko Salvini, Ondacinema)


La soap ai tempi della crisi
Applaudito a Venezia nella sezione Orizzonti,(..) Tutti pazzi a Tel Aviv, nuovo lavoro del regista palestinese Sameh Zoabi,(..)si innesta su una tradizione tutt’altro che nuova, ovvero quella della rivisitazione delle crisi locali attraverso il filtro della commedia (..)Tutti pazzi a Tel Aviv, tuttavia, ha in più l’idea di prendere un linguaggio altamente standardizzato (e internazionale) come quello della soap opera, costruendoci sopra un intreccio comico (..). La componente più interessante (..) è proprio la sovrapposizione e la dialettica continua tra l’estetica volutamente camp, eccessiva e dai colori sgargianti, delle immagini della serie Tel Aviv On Fire (era anche il titolo originale del film; perché modificarlo?) e la perseguita verosimiglianza dell’intreccio – specie nella fotografia metallica e tendente al grigio del posto di blocco dove si incontrano i due protagonisti.(..)Questa idea di cinema, Sameh Zoabi la mette in campo guardando innanzitutto alla commedia americana, da una parte al filone del buddy movie, dall’altra ai primi lavori di Woody Allen; rivolgendo inoltre il suo sguardo, come ulteriore componente, a certi esempi di commedia francese consolidatisi negli ultimi decenni (..)”
(Marco Minniti, Quinlan)

“Sameh Zoabi, sceneggiatore e regista palestinese, già nei sui film precedenti, premiati in molti festival dal Sundance a Locarno, aveva cercato una chiave per raccontare il conflitto interno legato alla difficile condivisione dei territori con Israele.Un problema di culture e politiche che si riflette inevitabilmente sulla vita di tutti i giorni. Trovare un modo per raccontare tutto questo non sempre è facile perché si può essere fraintesi e, confessa lo stesso regista, accusati di fare film “eccessivamente palestinesi o inadeguatamente israeliani”.Tel Aviv on Fire evita entrambe le trappole affidandosi ai toni del grottesco e alla leggerezza di una comicità parimenti intrisa di umorismo palestinese ed ebraico.(..)Tra vivaci scambi di idee e humus condivisi, tra i due i punti di contatto si mostrano sempre più evidenti, anche quando litigano per quale piega far prendere alla soap. Fino al colpo di scena finale, che fa letteralmente saltare ogni barriera. E' in questo senso particolarmente interessante che una parte dell’ambientazione sia proprio un posto di blocco, frontiera fisica culturale e mentale(..).
(Greta Leo , Cinematografo)

Il cinema senza muri
(..)La cosa bella di Tutti pazzi a Tel Aviv è che alla fine non sai se ti piace di più Tutti pazzi a Tel Aviv o Tel Aviv brucia. Il film o la soap opera dentro al film? L’assistente di produzione o la spia in tailleur alla Jackie Kennedy? Al Festival di Venezia 2019 il primo ha vinto il premio al Miglior attore della sezione Orizzonti. L’ha vinto Kais Nashif/Salam che, con quella sua aria medioriental-lunare, è davvero irresistibile. Ma anche la sceneggiatura è convincente. L’autore è stato battezzato “Woody Allen in Cisgiordania”, definizione un po’ impegnativa, ma in fondo non troppo lontana dalla realtà. Forse troppo circoscritta geograficamente dato che il regista dice la sua anche in Palestina e in Israele. Perché il cinema, quando è cinema vero non conosce confini. Muri. Posti di blocco.”
(Veronica Garbagna, Duels.it)

scheda tecnica a cura di Francesca Filauro

 



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