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Scheda critica del film:

  

Scappa - Get out

 

Il Regista

Jordan Haworth Peele è nato a New York il 21 febbraio 1979.
Regista, sceneggiatore, attore e produttore. È noto al grande pubblico come creatore e parte del duo comico lanciato su Comedy Central "Key and Peele", che nel 2014 ha vinto un Peabody Award e un American Comedy Award come Miglior Serie Comica. Nel 2012 Peele è stato inserito nella lista dei Comici dell'Anno di "Entertainment Weekly" e nel 2014 la rivista "Time" lo ha iscritto nella lista delle persone più importanti dell'anno. Attivo soprattutto sul piccolo schermo, è apparso nella prima stagione della serie "Fargo" (2014), nella serie CBS "Life in Pieces" (2015) ideata da Justin Alder, nella serie FOX "Bob's Burgers" (2014-2016) e in vari episodi della serie "Children's Hospital" (2010-2015). Ha partecipato alle cinque stagioni di "MADtv" (2003-2008) su Fox, ricevendo una nomination per il Primetime Emmy Award per il video "Sad 50 Cent". Per il cinema, ha preso parte a diversi cortometraggi e lungometraggi (con ruoli di secondo piano) tra cui "Nudi e felici" (2011, di David Wain), prima di debuttare come protagonista al fianco di Keegan-Michael nel film diretto da Peter Atencio "Keanu", di cui è anche produttore e co-autore insieme ad Alex Rubens. Nel 2017 debutta alla regia con il film Scappa - Get Out. Dal 2013 è sposato con l'attrice Chelsea Peretti.

STRATI DI IPOCRISIA
Nell'era Trump, in cui la destra bianca sembra dettare legge, l'obiettivo di Peele non è l'avversario più prevedibile, evidente e chiaramente connotato. Quello che l'autore comico afroamericano ci racconta è il razzismo che si nasconde nelle sue forme più abiette, sotto l'apparenza di chi avrebbe votato Obama per un terzo mandato (e ama vantarsene). Di chi ribadisce una disuguaglianza di fatto, proprio rimarcando costantemente il proprio atteggiamento paternalistico, pseudo-democratico, tollerante.
È sotto le coltri del politicamente corretto che si nasconde il più subdolo avversario della comunità nera d’America.
Il razzismo subdolo e inestirpabile prolifera dove non si vede, nel corso naturale delle cose, in ciò che diamo per scontato o che addirittura esibiamo come tolleranza.Scappa - Get Out si muove sotto questi strati di ipocrisia, attribuendo a elementi fantastici la traduzione letterale di quel che nella realtà avviene in senso figurato (brainwashing e whitewashing), trasformando gli afroamericani in quello che la società bianca ha sempre voluto che fossero. Uomini di fatica o magari atleti (l'aneddoto di Jesse Owens e Hitler), destinati a perpetuare, secondo un perverso darwinismo e modalità bizzarre, la mente superiore dei bianchi. Lo stereotipo della prestanza fisica degli afroamericani utilizzato per privare questi ultimi di intelligenza, identità, radici.
Il fatto che Scappa - Get Out sia (anche) un ottimo film di genere - incubi e ossessioni di Polanski mescolati a meccanismi persecutori da slasher movie - aggiunge forza anziché toglierne alla vis polemica, per la straordinaria capacità di veicolare il messaggio a livello narrativo e per la possibilità di una maggiore risonanza.
(Emanuele Sacchi - www.mymovies.it)

ANALISI DELLA QUESTIONE RAZZIALE
Una prospettiva insolita e particolarmente significativa sul tema del razzismo: sia adoperandolo come meccanismo narrativo all'interno di un tipico intreccio horror, sia per la sua capacità di affrontare la questione razziale nel contesto della società contemporanea.
…In Get Out Peele non tarda ad instillare elementi di suspense via via sempre più evidenti: il bizzarro comportamento dei domestici (neri) della famiglia di Rose, l'ipnosi praticata per professione da sua madre Missy  e un fratello, Jeremy , dall'esuberanza quantomeno inopportuna. E la prima metà della pellicola, con l'atmosfera di cortesia forzata che regna in casa Armitage e un lento ma graduale accumulo di strani dettagli, risulta non a caso la più riuscita di Get Out: quella in cui, sposando completamente la focalizzazione di Chris, ci ritroviamo a condividere dubbi e (forse) paranoie del giovanotto, con almeno una sequenza da pelle d'oca (la corsa notturna del giardiniere Walter). Premesse intriganti, mantenute in buona parte - ma non del tutto - dal momento in cui la natura horror del prodotto si fa manifesta e, per certi versi, più scontata.
… E’ innegabile il fatto che Get Out abbia intercettato l'interesse trasversale di diverse tipologie di pubblico, mantenendo fede alla propria essenza di opera di genere senza rinunciare a portare avanti l'analisi della "questione razziale" alla radice del racconto; anzi, innestandola in tutto e per tutto nel suo intreccio da thriller, e in modo tutt'altro che banale .
 La discriminante della "razza", infatti, si rivelerà centrale sia in merito al crescente imbarazzo di Chris al cospetto di familiari e conoscenti di Rose, sia in relazione al colpo di scena che, nel terzo atto di Get Out, lo trasformerà nella vittima in balia di un'autentica congrega di carnefici, con risvolti fra la black comedy, l'horror tout court e il meta-film che si diverte a rimarcare con ironia gli stilemi del genere. E se la condizione di minaccia sperimentata da Chris viene percepita con un'intensità tanto concreta e palpabile, probabilmente è proprio perché l'identità etnica del protagonista è il motivo stesso di tale minaccia e del suo senso di spaesamento in un microcosmo ostile.

L’ELEFANTE NELLA STANZA
Il peculiare registro di Get Out, caratterizzato da una singolare fusione fra il thriller e la commedia grottesca (quelle pennellate di humor che però non prendono mai il sopravvento), deriva in fondo da qui, da quello che nell'idioma inglese sarebbe definito come "l'elefante nella stanza", l'ovvia questione di fronte alla quale tutti i personaggi (Chris compreso) simulano una disinvoltura esasperata: il suo essere un nero in un ambiente di bianchi, fin troppo ansiosi di dimostrare la propria ampiezza di vedute. "Se avessi potuto, avrei votato per Obama per un terzo mandato", esclama fieramente Dean Armitage. Perché lui, padre di famiglia bonario e in apparenza di mentalità aperta, è l'emblema del bersaglio primario di Get Out: l'upper class e la middle class che si proclamano democratiche e prive di pregiudizi, e in cui molti di noi potrebbero riconoscersi, ma che alla prova dei fatti non riescono a gestire il contatto diretto con l'alterità se non delimitandola entro gli stereotipi della cosiddetta "negritudine". "Con la tua ossatura e il tuo corredo genetico, potresti essere una bestia", commenta Jeremy con malcelata ostilità, mentre fra gli invitati al ricevimento degli Armitage gli approcci verso Chris scivolano in tragicomiche gaffe, dai riferimenti a Tiger Woods alle allusioni alla potenza sessuale dei neri.
(Stefano Lo Verme, movieplayer.it)

…QUALCOSA DI MALEVOLO
Noi spettatori di Get Out abbiamo un netto vantaggio rispetto al protagonista Chris: abbiamo visto il teso incipit del film e sappiamo che qualcosa di malevolo si nasconde tra le pieghe perfette della realtà di periferia borghese che ci viene presentata. È l'arma di Peele per insinuare sin da subito nello spettatore la consapevolezza che il bizzarro comportamento dei familiari di Rose nasconda qualcosa di più di un semplice disagio dovuto alla scoperta dell'identità razziale del fidanzato della ragazza. Su questa ambiguità, il regista costruisce un film che gioca con la tensione e con il suo pubblico, aggiungendo un dettaglio spiazzante dopo l'altro, dall'ipnosi al comportamento sopra le righe del fratello di Rose (un inquietante Caleb Landry Jones) e la bizzarria degli ospiti del raduno Armitage, procedendo tra trovate e convenzioni da film di genere, tra classici salti sulla sedia e colpi ad effetto, fino ad arrivare alla scoperta della rivelazione riguardo il mistero della famiglia e del loro surreale gruppo di conoscenti.
(Antonio Cuomo,movieplayer.it)

IL BIANCO SCHIAVISTA TRAVESTITO DA BENPENSANTE
“Avrei votato per Obama per la terza volta…” e perché mai dovrebbe essere il contrario? Tutto nella messa in scena dell’esordiente Jordan Peele avalla e tradisce, contemporaneamente, i paradigmi del Klu Klux Klan e di qualsivoglia movimento antiblackness. La novità, o meglio l’intuizione, sta nel costringere il protagonista, e così “la sua gente”, che il perfetto bianco altoborghese altri non può essere che uno schiavista mascherato da benpensante; rinchiuso nella sua graziosa e spaziosa magione sul lago, bevendo tè servito dalle stesse mani nere che di bicchieri ne hanno riempiti a profusione. Da tale casella di partenza, non esiste un vero sovvertimento del seme razzista/segregazionista, quanto la traslazione delle medesime e permettiamoci mostruose convinzioni di purezza etnica.
Un gioco che il regista/scrittore porta all’estremo: insulto ad Hitler, “black is trend” e la frase di apertura del pezzo…ingeriamo la pillola del Kumbaya per cui vogliamo e dobbiamo spazzare via l’idea che il nostro protagonista possa essere vittima, in qualsiasi modo, di un retaggio, strizzata d’occhio, sorpassato. Quando Chris, Daniel Kaluuya, e Rose giungono nella villa dei genitori di lei, il primo trova bizzarro che fra tutte quelle chiacchiere di comunione razziale ci siano una cameriera e un custode non solo neri ma strani quanto un nero alla Casa Bianca. Per non parlare dell’incontro notturno con la madre di Rose, una psichiatra, che si offre di guarire il vizio del fumo di Chris attraverso una seduta ipnotica…
La presidenza Obama, sebbene osteggiata da molti, specialmente a fine mandato, è forse il primo mattone di Scappa – Get Out. Quando la blackness era già stata accolta, perlomeno in larga parte, ecco che nello studio ovale mette piede chi ha il potere di allargare ancora di più quella solidarietà. Ogni minoranza sperava in un’ascensione quasi miracolosa. Sappiamo che non è stato così, ma sappiamo anche che chiunque si trovi sotto l’occhio di bue viene automaticamente considerato, anche in maniera perversa, cool e quindi oggetto di clonazione, sia fisica che intellettuale. Un gruppo di bianchi facoltosi che vogliono ritrovare o ottenere le peculiarità di QUEL bagaglio genetico o della novella black trend.
Il film di Peele conosce il suo pollo: prologo nel sobborgo e prima cattura, svolgimento nella provincia desolata, personaggi strambi oppure maniere strambe anche troppo accentuate, e un solido filo rosso che congiunge la morte della madre di Chris e la trance onirico-ipnotica, tutto trasmesso nel minuscolo schermo che Catherine Keener chiama Luogo Sommerso. E in effetti c’è sempre una barriera tra i due mondi, vedi la macchina fotografica di Chris, i soggetti che raffigura, come se quell’unione auspicata fosse un’ideale più che un’utopia e quindi destinato a prossime macerie. In ogni caso la cinefilia non fa sconti: il cervo, la creatura magica, la liberazione, viene trucidato dalla macchina in corsa.  Tutto fila liscio eccetto la rivelazione un po’ semplicistica e che avremmo preferito approfondire. Allora servono i fuochi d’artificio e l’epilogo gore, anche esilarante vista la presenza dell’amico di Chris cui viene affidata l’impresa di alleggerire l’impalcatura tutta, che però risulta suddito della mera rivalsa e poco aderente alla vertigine fantasy-neorealista che forse Peele avrebbe desiderato.
(Pasquale Pirisi, 18 maggio 2017,sentieriselvaggi.it)

PEELE COMICO ED IMITATORE
Prima di diventare un apprezzato regista di film horror, Peele era un comico e imitatore. Alcuni attori del film hanno detto che ha diretto certe scene facendo l’imitazione di Barack Obama, Tracy Morgan e Forest Whitaker. Peele ha invece spiegato di aver scritto la sceneggiatura del film diversi anni fa, durante il primo mandato di Obama. Ha anche detto che per lui non c’è gran differenza tra commedia e horror, perché «in entrambi i casi si tratta di saper usare i giusti tempi, saper scegliere quando svelare cosa». Peele ha poi detto che a fargli venire l’idea del film fu Eddie Murphy che, durante un suo spettacolo, raccontò di una volta in cui andò a trovare i genitori di una sua ragazza bianca. Murphy fu anche preso in considerazione per interpretare il protagonista ma poi scartato perché ritenuto troppo vecchio per il ruolo. Spiegando invece la scelta di Williams come protagonista, Peele ha detto che gli «ricordava una di quelle ragazze di cui ti innamori durante il campo estivo».
Tra i film citati da Peele come fonte d’ispirazione per il suo ci sono invece La fabbrica delle mogli, Indovina chi viene a cena? e La notte dei morti viventi. In Get Out c’è qualcosa di ognuno di questi film, ma anche molte cose nuove. Soprattutto il modo in cui affronta il problema del razzismo.
(www. Post.it, 19 maggio2017)

IL FINALE ALTERNATIVO
Get Out  aveva all’inizio un finale diverso in cui Chris riusciva a scappare, uccidendo un po’ di persone, ma alla fine veniva arrestato perché la casa dei genitori di Rose andava a fuoco e sparivano quindi tutte le prove. Peele ha anche parlato di un altro possibile finale in cui Rod – l’amico nero di Chris – arrivava lì e riusciva a trovare Chris. Andava a parlargli ma Chris gli rispondeva qualcosa di simile a: «Non so di cosa tu stia parlando».

scheda tecnica a cura di Stefano Bona

 

 



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