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Scheda critica del film:

  

Ritratto di famiglia con tempesta

[After the Storm]

 

Il Regista

Hirokazu Kore’eda è nato a Tokyo il 6 giugno 1962. Dopo essersi laureato nel 1987 all'Università di Waseda, lavora come documentarista televisivo per la TV Man Union. Tra suoi documentari, Shikashi (1991) sul caso di cronaca del suicidio di un funzionario governativo, Eiga ga jidai o utsusutoki - Hou Hsiao-hsien to Edward Yang (1993) sui registi taiwanesi Hou Hsiao-hsien ed Edward Yang, Kare no inai hachigatsu ga (1994), video-diario di un malato di AIDS.
Il suo esordio nel lungometraggio cinematografico, Maborosi (1995), tratto da una novella di Teru Miyamoto, è presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia, dove vince l'Osella d'oro per la miglior regia. Ma è il film successivo, Wandāfuru raifu, vincitore di svariati premi in festival in tutto il mondo (tra i quali il premio Holden per la migliore sceneggiatura al Torino Film Festival, il premio FIPRESCI al Festival di San Sebastian, la Mongolfiera d'oro al Festival des 3 Continents di Nantes), a fargli raggiungere la notorietà internazionale.
Distance, presentato in concorso al Festival di Cannes 2001[1], è incentrato sulle conseguenze del suicidio di massa degli adepti di un culto religioso ispirato a quello di Aum Shinrikyō. Il successivo Nessuno lo sa (Daremo shiranai), presentato in concorso all'edizione 2004 del festival francese[2], è basato su un tragico fatto di cronaca.
Con Hana yori mo naho (2006) Kore'eda si cimenta per la prima volta con il film in costume e il genere per eccellenza del cinema giapponese, il jidai-geki, pur senza rinunciare al proprio caratteristico stile intimista. Dopo il dramma familiare Aruitemo aruitemo (2008), affronta un'altra sorta di "passaggio obbligato" per un cineasta nipponico, la trasposizione cinematografica di un manga, con Kūki ningyō, presentato nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2009. Uno dei suoi film più conosciuti, anche e soprattutto in occidente, è Father and Son (2013) che vince, al Festival di Cannes, il Premio della Giuria e il Premio Ecumenico della Giuria. Nel 2014, tenta di rinnovare il suo successo con Little Sister. Due anni dopo porta al Festival di Cannes la potente storia di famiglia e legami di After the Storm.

All’ombra dei maestri
Autore delle emozioni millimetriche e di una maniera contemplativa, Kore-eda procede a un'analisi clinica del gesto quotidiano e dei caratteri che mette in schermo, rintracciando ancora una volta le ferite prodotte dalla relazione padre-figli. Al cuore della storia c'è un perdente cechoviano e una rassegnazione cechoviana. Ryoto, padre assente e alla deriva, incarna la speranza delusa del figlio e della letteratura e un'immaturità che si trascina e prospera in un mestiere avvilente. Dal padre, il protagonista ha ereditato il vizio incorreggibile per il gioco e una tensione alla menzogna che ha mandato all'aria la sua vita, separato la sua famiglia e deluso suo figlio, che lo guarda imbrogliare e imbrogliarsi. […]
SeFather and son era sbilanciato dalla parte dell'infanzia e sull'inoppugnabile capacità rigenerativa del mondo infantile, After the Storm si concentra sul genitore con riprese in cui prevalgono primi piani che si allargano a scoprire spazi limitati, dove il corpo paterno si muove cercando vanamente di superare l'impasse e trapelando tutto il disagio di una vita ripetuta e provvisoria. La preparazione di un pasto, la spesa, le passeggiate intervengono a scandire un'esistenza ordinaria e la sua inesorabile erosione provocata dagli sbandamenti sociali, finanziari, affettivi, emotivi. Contestualizzato nell'insondabile cultura nipponica, il film di Kore-eda è arte in ascolto affondata nella stessa sorgente dolce-amara che ispirava il cinema di Ozu. L'autore indugia a lungo sui personaggi, registrando solo il tempo e non l'azione nel tempo dei personaggi. È il movimento interiore a rivelarsi allora nel fondo di una notte tormentata dai sentimenti e dall'uragano, dove padre, madre e figlio apprendono ad accettare la separazione come la sola condizione possibile di continuità. Una continuità malgrado tutto.
(Marzia Gandolfi, mymovies.it)

Nell’occhio del ciclone
Tre generazioni: un uomo, sua madre, suo figlio. E poi il presente, il passato, il futuro. La vita come la volevi, e come non è stata, e la rassegnazione, il rimpianto, la testardaggine di continuare a provarci. C'è tutto questo, e anche di più dentro al nuovo film di Hirokazu Kore-eda, uno di quelli giapponesi fino al midollo, capaci di raccontare storie con semplicità cristallina ed essenzialità monacale, ma che quella semplicità lì la fa esplodere dentro di te fino a farti perdere il conto delle sfumature e dei livelli di quelli che sullo schermo sembrano i gesti e le parole più naturali del mondo. […] Li racconta, li ascolta e li segue perché anche tu possa imparare ad amarli, cialtroni o meno, e a vedere in loro pezzettini di te, della tua vita, delle persone che conosci. Anche se la mossa di Kore-eda di chiudere in casa - in una casa piccola e piena come un uovo come solo in Giappone - i protagonisti del suo film, mentre fuori infuria il tifone, è una chiara manipolazione a scopi narrativi e metaforici, l'incanto dell'immacolato naturalismo del film non si spezza: solo gli ingenui posso pensare che raccontare la realtà sia assenza di artifici e non un'operazione di creazione e manipolazione. Lì, in quella casa angusta, gomito a gomito l'uno con l'altra, gli uomini e le donne, gli adulti e i bambini di questo film avranno di che imparare gli uni dagli altri, troveranno il modo di accettare sé stessi e quel che la vita gli ha dato. Riusciranno, anche, a far pace con ciò da cui erano sempre fuggiti, dai confronti scomodi, dai panni di certi altri che sono sempre anche i nostri, ci piaccia o meno. Non c'è amarezza, in Ritratto di famiglia con tempesta o nei suoi esiti, nei destini segnati dei suoi personaggi. Non quella vera, almeno. Perché se per un verso Kore-eda gioca sempre, per tutto il film, a mettere al dramma la maschera della commedia, bilanciando i toni all'insegna del soave, c'è un senso di pace e serenità tutto orientale, tutto buddista, nel vedere che alla fine i pezzi vanno tutti dove dovevano andare. Che la vita un po' la si fa, un po' la si accetta. Accettando i limiti degli altri, e i nostri.
(Federico Gironi, comingsoon.it)

Essenzialità e leggerezza
Come si ferma il lento fluire del quotidiano? Ritratto di famiglia con tempesta segna ancora la necessità di inseguire il frammento, di arrestare provvisoriamente il tempo nello spazio di un’inquadratura come se il pittore davanti un dipinto. […] Ritratto di famiglia con tempesta sembra un film ancora più essenziale nel cinema di Kore-eda. Non pedina neorealisticamente il protagonista, ma ne cattura lo scarto tra desiderio di ricominciare e una sottile autodistruttività. C’è sempre un tempo dell’attesa, come in Nobody Knows, una sottile incertezza vicina all’inquietudine quando l’inquadratura successiva potrebbe mostrare una sorpresa che potrebbe rimettere in gioco tutto. […] Il cinema di Kore-eda balla sottilmente tra il dramma e le forme di una commedia leggera. La giornata di Ryoka con il figlio ha momenti esilaranti come l’acquisto degli scarpini da calcio che vengono intenzionalmente rovinati dal protagonista prima di andare in cassa per poter pagare così di meno. Lì si avverte l’inadeguatezza di Ryoka davanti alla normalità del rapporto padre-figlio, che diventa invece qualcosa di straordinario, e la tentazione impossibile di trasformarsi in qualcos’altro. Sono tutte geometrie che intrecciano i rapporti del personaggio principale anche con la madre e l’ex moglie, protagonisti tutti e tre di un folgorante momento: i due parlano seduti per terra; quando arriva la tempesta, sono come intrappolati, mentre la madre prepara da mangiare. La vita continua a scorrere normalmente, in una tranquilla immobilità come gli anziani che ascoltano Beethoven.
Un tempo provvisorio, sempre sul punto di fuggire, un momento di serenità, di pace che appena ci si rende conto è già passato.
(Simone Emiliani, “Cineforum”, n. 555)

scheda tecnica a cura di Mathias Balbi

 

 



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