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Scheda critica del film:

  

Paterson

 

Il Regista
Jim Jarmusch (James R. Jarmusch nato a Akron - Ohio nel 1953) ha probabilmente mutuato l’amore per la regia dalla madre (regista teatrale di origini irlandesi e tedesche, mentre il padre era un imprenditore figlio di una famiglia ceco-tedesca), ha studiato giornalismo a Chicago e letteratura a New York dove si è laureato presso la Columbia University e nello stesso anno si è iscritto alla Graduate Film School della New York University. Importanti nella sua formazione e per la poetica che ne caratterizzerà l’opera i nove mesi trascorsi a Parigi nel 1973 per una ricerca su André Breton e il surrealismo. Nel periodo parigino, avviene un altro incontro determinante per il suo futuro: quello con il cinema. L’esordio nella regia è del 1980 con il mediometraggio Permanent Vacation realizzato come tesi di laurea. Il primo lungometraggio, Stranger than Paradise, è del 1984 ed è subito un grande successo internazionale: oltre a essere premiato con la ‘Caméra d’or’ al Festival di Cannes 1984 quale miglior regia di un esordiente, vince il ‘Pardo d’oro’ al Festival di Locarno. Nel suo terzo film Daunbailò (1985) recita Roberto Benigni cui il regista è legato da grande amicizia dovuta all’affinità tra due animi fortemente poetici e interessati ai sentimenti di un’umanità semplice, protagonista silenziosa della società e alla ricerca di un proprio percorso spirituale. Autore non prolifico, ha presentato con successo i suoi ultimi due lungometraggi (Solo gli amanti sopravvivono del 2013 e Paterson) al Festival di Cannes. Regista minimalista e ironico, è divenuto un’icona del cinema indipendente americano che opera lontano (non solo fisicamente) da Hollywood rivolgendo il proprio interesse non a storie o ambienti e atmosfere da sogno, ma a personaggi inconsueti e al di fuori di ogni cliché.

Commento
In un’epoca in cui il valore di un film si misura molto spesso dal numero dei biglietti venduti, occorre coraggio per girare e produrre Paterson, un’opera assolutamente in controtendenza: non vi sono violenza (fisica o morale), volgarità, erotismo più o meno giustificato dal contesto, situazioni strappalacrime e supereroi che salvano l’umanità o il pianeta o che si confondono con i criminali quasi a testimoniare che nell’attuale società, molto più che in passato, il confine tra bene e male, buoni e cattivi è quanto mai labile e spesso indecifrabile. Ovviamente non a causa del cinema che si limita a riflettere la realtà: basti pensare ai contenuti dei giornali e ai picchi di vendita o di share televisivo. Il racconto di Jarmusch corre calmo, fatto di piccoli gesti e grandi sentimenti vissuti con sincerità e pudore e mai esibiti, è la vita di un uomo qualunque (nel significato migliore del termine e non in quello politico) che si snoda nella sua routine quotidiana apparentemente sempre eguale, ma in realtà sempre diversa. Paterson (eccellente l’interpretazione di Adam Driver, contenuta e allo stesso tempo espressiva in ogni sguardo, in ogni gesto del volto e del corpo) guida ogni giorno l’autobus della linea 23 della sua città: un percorso prefissato (anche gli utenti sono in larga misura sempre gli stessi), ma in realtà mai eguale a se stesso, quasi simbolo delle nostre giornate scandite da ritmi e momenti ripetitivi, ma in realtà sempre diversi perché differenti sono le circostanze o le atmosfere. Non sappiamo se Paterson sia felice o infelice, sappiamo che vive con serenità ascoltando brani di conversazione che gli giungono casualmente dai passeggeri del bus, o meno casualmente mentre sorseggia la solita birretta nel bar di Doc vicino a casa. Brani che gli procurano sensazioni che trasforma nelle poesie che scrive nelle pause del lavoro o nella tranquillità della sua casa: le scrive soprattutto per sé e per leggerle all’amata Laura (molto brava Golshifteh Farahani a renderne l’affettuosa e discreta invadenza) che molto le apprezza e vorrebbe che lui almeno le fotocopiasse per farle uscire dalla loro nicchia (i versi, molto belli, sono del poeta Ron Padgett). Paterson promette sempre di farlo, ma non lo fa mai perché non gli interessa far conoscere a sconosciuti quei versi che lo interpretano e sono destinati solo a chi ama. Paterson è il poeta puro, l’uomo che ama la poesia per quello che rappresenta, che può dare e non per quello che può rendere. E quando l’adorato bulldog Marvin (bravissima e simpaticissima la cagnetta Nellie che per questa interpretazione ha vinto a Cannes una Palm Dog, purtroppo postuma) gli distrugge il quadernetto dimenticato sul divano resta per giorni abulico e ripiegato su se stesso per la perdita non dei testi, ma di quel soffio della sua vita che aveva trasferito nei versi. Jarmusch ha compiuto un piccolo miracolo: non ha realizzato un film su un poeta o sulla poesia, ma ha scritto un poema con la macchina da presa. Forse ha subito l’influsso del posto: la cittadina di Paterson (New Jersey) ha, infatti, dato i natali a William Carson (uno dei massimi esponenti della poesia americana e autore del poema epico Paterson), ma è stata anche scelta per viverci da Allan Ginsberg e in passato dall’anarchico Bresci il cui nome ricorre nei discorsi ascoltati da Paterson. Il film di Jarmusch è come la vita: complesso sotto un’apparente semplicità e come un mosaico rivela il suo significato, anche profondo, leggendolo nel suo insieme e non fermandosi sulle singole scene per quanto perfette. Paterson è un film sulla capacità di osservare il mondo andando oltre l’apparenza grazie al dono della curiosità e al desiderio di conoscere se stessi (oltre che gli altri), doni che sono propri dei poeti e che Paterson percepisce in una ragazzina incontrata per caso, nei cui scritti ritrova la poesia. Jarmusch ci dice anche che sono gli imprevisti a dare un senso alla vita e ognuno trova il proprio equilibrio capendo che è più probabile arrivare alla meta tramite piccole deviazioni dovute alla casualità che fossilizzandosi nella routine, come avviene per Paterson che supera l’abulia causatagli da Marvin dopo il casuale incontro con la piccola poetessa. Paterson è un film in cui si parla di Dante e di Petrarca, ma anche di dolcetti e di oggetti per arredare la casa e di sogni che, sebbene irrealizzabili, danno sapore alla vita e spesso la forza di superare i momenti difficili ed è un invito a guardare con gli occhi avidi, curiosi e accomodanti del protagonista, vero alter-ego del regista, il senso e il non-senso dell’esistenza, accogliendone il mistero e il suo aspetto più vitale. È certamente un film da vedere, con un’avvertenza: poiché è uno di quei rari film che stimolano a riflettere, per apprezzarlo lo spettatore deve essere attivo. Se si va al cinema per abbandonarsi su una poltrona e mettere il cervello in letargo è meglio uno dei tanti film alla Fast and Furious.

Alcuni giudizi
“Una sobria meraviglia” (The Guardian)
“Un film che brilla di una delicatezza sommersa, urbana” (Le Figaro)
“Una deliziosa favola sulla fragile, fruttuosa e a volte inquieta relazione tra creatività e vita quotidiana” (Time Out)
“Una singolare ode alla vita ordinata, all’armonia domestica e alla poesia” (Hollywood Reporter)
“Un’opera universale in ogni dettaglio. Perfetta” (El Mundo)

scheda tecnica a cura di Salvatore Maria Longo

 



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