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Scheda critica del film:

  

Un padre, una figlia

(Bacalaureat)

 

Il regista                                                                                              
Cristian Mungiu è uno sceneggiatore e regista nato nel 1968 in Romania. Prima di studiare cinema, ha lavorato come professore e giornalista per la stampa, la radio e la televisione. Il suo film di esordio, Occident, è stato presentato in anteprima alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes nel 2002 e ha riscosso un grosso successo di pubblico quando è uscito in Romania. Nel 2007, ha diretto il suo secondo lungometraggio, 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, che  ha  ottenuto  la  Palma  d’Oro  al  Festival  di  Cannes.  e  ha  in  seguito  vinto  numerosi premi internazionali, tra cui quelli di Miglior film e Miglior regia attribuiti dalla European Film Academy. È  tornato  al  Festival  di  Cannes  nel  2009  come  sceneggiatore,  co-regista  e  co-produttore del film collettivo a episodi Racconti dell’età dell’oro, e nuovamente nel 2012 come sceneggiatore e regista del lungometraggio Oltre le colline, ricompensato con due premi: miglior sceneggiatura e miglior attrice. Nel 2013, è stato uno dei membri della giuria del Festival di Cannes. Un padre, una figlia è il suo quinto lungometraggio. 

Gli attori protagonisti

Adrian Titieni, classe 1963, è un rinomato attore teatrale e cinematografico rumeno. Ha esordito nel cinema nel 1986 e da allora ha interpretato più di cinquanta film. Ha continuato a recitare in molti cortometraggi e film studenteschi anche dopo aver acquisito la fama ed essere diventato il rettore dell'Università Nazionale di Teatro e Cinema di Bucarest. Tra i film più noti La morte del Signor Lazarescu (2005) di Cristi Puiu; Il caso Kerenes di  Călin  Peter  Netzer,  vincitore  dell'Orso d'Oro alla Berlinale del 2013.


Maria Drăgus è nata nel 1994, ha studiato a Dresda, e nonostante la giovanissima età ha già recitato in diversi film. Con Il nastro bianco (2009) di Michael Haneke ha ottenuto il premio come Miglior attrice non protagonista ai German Film Awards.

 

 

Note di regia
“In  quanto  genitore, desideri il meglio per loro. Ma che cos'è il meglio per loro? E per quale mondo li stai preparando: quello  in  cui  sei  cresciuto  tu  o  quello  in  un  altro  paese?  Per  il  mondo  reale  o  per  un mondo  ideale?  Che  cosa  è  giusto  insegnare  loro,  a  lottare  con  tutta  la  loro  forza  per  il loro  benessere  o  a  rispettare  gli  altri  e a  combattere  anche  per  i  loro  valori?  Il  fine giustifica i mezzi? Non  dovremmo volere  che  i  nostri  figli  siano  felici  ed  agiati  e  sperare  che  arrivi  qualcun  altro  a sistemare  il  mondo,  con  tutti  i  sacrifici  che  una  simile  impresa  comporta?  Perché dovrebbe essere proprio mio figlio a immolarsi? (…)La  storia  di  Romeo Aldea  è  anche  la  storia  di  una  società  e  delle  sue  istituzioni. Esiste un rapporto tra compromesso, corruzione, istruzione e povertà? Possiamo educare i nostri figli in modo molto diverso rispetto a quello con cui siamo stati educati noi?”
“Se il film riuscisse a farvi riflettere sulle vostre scelte di vita, sui vostri momenti di insincerità o su decisioni che avete preso in passato, sarebbe un bonus meraviglioso. Facciamo  film  per  raccontare  delle  storie,  per  sollevare  delle  domande,  per approfondire  la  nostra  indagine  del  mondo  che  ci  circonda.  Ma  le  storie  da  raccontare sono  molte. Un  regista  deve  sempre  domandare  a  se  stesso:  perché  hai  scelto  proprio questa  storia  in  particolare?  Auguriamoci  che  la  ragione  sia  che  ad  un  dato  momento della sua vita gli è sembrata la più importante e la più urgente. E ha sentito l'impellente bisogno  di  raccontarla  ad  altre  persone,  convinto  che  avrebbe  parlato  loro  di  cose  che contano veramente”.
 (Un padre, una figlia, pressbook del film)

La critica
“Come in Oltre le colline Mungiu s'interroga sulle conseguenza di una scelta, in un film però molto diverso dal precedente, per certi versi più freddo ma anche più morbido, in cui l'errore non è più lontano dalla presa in carico delle conseguenze e delle responsabilità che ne derivano e dove la lezione passa, aprendo forse davvero una seconda opportunità per il protagonista, proprio in quell'aspetto del suo essere che credeva di condurre al meglio: la paternità. ‘Perché suoni sempre il clacson?’ Domanda Eliza. ‘Per sicurezza’. ‘Sì, ma perché lo suoni anche quando non ci sono altre macchine?’ L'ironia della sorte, che nel cinema rumeno degli ultimi anni non manca mai, e scorre tanto sotto le commedie grottesche che sotto i drammi più amari, fa sì che il dottor Aldea agisca quando non c'è bisogno di farlo, travolto dal terrore che il futuro di sua figlia possa andare improvvisamente in frantumi come il vetro, quando in realtà sono la sua età e la sua situazione che gli stanno domandando il conto”.
(Marianna Cappi, in www.mymovies.it)


Un padre, una figlia è una vicenda scissa in due parti, la prima delle quali – la migliore – è un sunto del miglior cinema romeno attuale: il quadro alla deriva fotografato focalizza l’incapacità del Paese di evadere dall’oltranzismo, servendosi all’occorrenza di strumenti negativi per poter (far) progredire e cestinare il ricordo (‘Non era meglio quando c’era la pena di morte?’ è la laconica affermazione dell’ambiguo ispettore capo di polizia interpretato da Vlad Ivanov, maschera irrinunciabile in simili ruoli). Compreso nel suo scopo Romeo non comprende, fin quasi alla fine, che il futuro costruito insieme  un’ex coniuge tabagista e più disinteressata di lui ai rapporti familiari, gronda rivendicazioni individuali verso una società da cui si sente tradito. Né si concentra sul reale stato d’animo della ragazzina, che demotivata non ha più entusiasmo. La miopia di una nazione che non coglie da vicino il climax dei propri affetti trapela dagli atteggiamenti paranoici del protagonista (…) La desolazione di un ambiente memore forse della lezione di Antonioni, fatto di rottami e fili da bucato arrugginiti, di cantieri ed edifici incompiuti, ci parla di infelicità, la cui polverizzata presenza satura interni ed esterni, sancisce l’equa piccolezza della propria condizione e della propria anima (…) Gli ultimi fotogrammi si accendono di amara speranza: corrispettivo a quello dell’inizio da uno specchietto retrovisore, il sorriso di Eliza torna nel frame finale della foto di classe. Ma uno sgradevole senso di paranoia sembra restare: Romeo afferma di essere pedinato, e lo spettatore è consapevole che la cinepresa del Destino ne scruti ogni movimento, lo talloni in ogni gesto, quasi a parlare fosse la coscienza di un uomo che si è venduto al compromesso”.
(Francesco S. Marzaduri, in “Cineforum”, ottobre 2016)

scheda tecnica a cura di Guido Levi

 



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