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Scheda critica del film:

  

Al di là delle montagne

(Shan He Gu Ren)

Il Regista
Jia Zhang-Ke è nato nel 1970 a Fenyang, nella provincia dello Shanxi.
Si è diplomato all'Accademia Cinematografica di Pechino e nel 1998 ha realizzato il suo primo lungometraggio, Xiao Wu (Pickpocket). Vive a Pechino ed è molto impegnato insieme alla giovane generazione di registi attivi in tutta la Cina. Nel 2006, il suo film Still Life ha vinto il Leone d’Oro alla 63a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Jia Zhang-Ke ha anche ottenuto la Palma per la sceneggiatura al 66° Festival del Film di Cannes nel 2013, con Il tocco del peccato.

Jia Zhang-ke sul film

Letteralmente, il titolo cinese vuole dire «i vecchi amici sono come la montagna e il fiume», sono immutabili. La formulazione è opposta a quella del titolo internazionale, ma alla base c'è lo stesso concetto, lo stesso quesito.

Raccontando solo il presente, si rischia di non avere la giusta distanza. Mettersi nella prospettiva di un futuro possibile è una maniera per osservare il presente in modo diverso e per comprenderlo meglio. Avendo vissuto tutta la vita in Cina, sono più che consapevole delle folgoranti mutazione
che ha conosciuto il mio paese, in ambito economico ovviamente, ma anche a livello individuale. Tutte le nostre modalità di vita sono state sconvolte dall'irruzione del denaro che ha assunto una posizione centrale nella nostra esistenza.

Uno dei modi a cui ricorre il film poggia sul confronto tra le tappe di un'esistenza e una serie di paesaggi successivi che sfilano, motivo per cui il concetto del viaggio è fondamentale nel film: l'auto, il treno, l'elicottero, eccetera. C'è un senso di spostamento permanente e al tempo stesso c'è il senso delle cose che si ripetono, di quello che resta stabile nel quotidiano, non fosse altro che, molto banalmente, il fatto di mangiare: si continua a preparare i ravioli, si continuerà sempre a preparare i ravioli…

Le dinamiche di un paese complesso
Jia Zhang-ke, come già avvenuto in alcuni dei suoi precedenti lavori – uno su tutti Still Life, vincitore del Leone d’Oro nel 2006racconta le dinamiche di un paese complesso come la Cina scegliendo le periferie come punto di osservazione privilegiato. In un contesto sociale e culturale estremamente articolato, come quello cinese appunto, il processo di modernizzazione assume tempi e forme diverse se applicato a piccoli centri abitati come Fenyang, città natale del regista. Qui tutto è rallentato, e solo la circolazione di oggetti di consumo che assumono la valenza di status symbol rende l’idea di un immaginario collettivo che non sa con sicurezza quale direzione prendere. Tale evoluzione diventa ancora più interessante se considerata all’interno di un arco temporale significativo, come avviene in Al di là delle montagne. Sono 25 gli anni che Zhang-ke racconta, suddivisi in tre capitoli che vanno da un futuribile 1999 a un futuristico 2025.
(Valentina Mallamaci, cultframe)

Il senso della perdita
C’è dello straordinario nell’opera di Jia Zhangke. C’è una coerenza etica e tematica, una compattezza complessa e fruttuosa dello sguardo, un’intuizione estetica che cerca sempre uno scarto. Al di là delle montagne, in questo senso, è assieme somma e superamento dei tasselli che hanno composto la filmografia del maggiore regista cinese vivente. Le argomentazioni da realismo sociale, la propensione per una creazione estetica di senso, la riflessione sui modi e generi del cinema, prendono qui le forme mutanti di un melò rallentato, multi-geografico e multi-temporale. Jia Zhangke ha raggiunto appieno la maturità e consapevolezza creativa per modellare un film formalmente perfetto: inquadrature in perenne stato di grazia senza mai risultare stucchevoli, piani sequenza necessari contro ogni autocompiacimento, formati che cambiano ad ogni segmento storico, inserti d’epoca, distorsioni cromatiche, elementi quasi onirici.
Se forse già questo basterebbe a fare di Al di là delle montagne un film degno di nota, ciò che ne consacra definitivamente il livello eccezionale è la riflessione che ci propone - una meditazione lancinante sul senso della Perdita: storica, culturale, affettiva. Chi siamo? Cosa significa essere cinesi? Questo è l’interrogativo che anima tutto il cinema di Jia Zhangke; un interrogativo sempre calato nel Tempo – tempo storico contestuale e esperienza del tempo, lo scorrere ingannevole della Storia. È infatti nel turbinio di una Storia che continua a sfuggire senza rimedio che i personaggi di Al di là delle montagne inseguono un futuro che è già ineluttabilmente nostalgico, sempre incatenati in un presente che li sconfigge quotidianamente. E così, quasi senza accorgersene, tutti perdono tutto: perdono l’età e perdono l’amore, perdono la salute e perdono la memoria, perdono la lingua e perdono il nome della propria madre………
E così, in uno degli epiloghi più potenti degli ultimi anni, ecco arrivare una straziante, tormentata affermazione del grido mai sopito del sangue, cristallizzato in un sussurro – il nome della madre – consegnato alle onde in tempesta per attraversare i decenni e i continenti. Non è un cauto lieto fine né una mossa conservatrice volta a imporre nuovamente la centralità di una cultura originale castratrice. È più semplicemente, o più complessamente, una formidabile affermazione di umanesimo emotivo – perché oltre la Storia e la Cultura, la Politica e le Società; e nonostante tutto e tutti, quando ogni cosa va a perdersi nel nulla della Storia che passa; e nonostante quelle montagne che per sempre ci separeranno, ci sarà comunque un nucleo discreto d’amore che prima o poi sprigionerà la sua potenza. Allora dimenticheremo per un attimo il dolore e la stanchezza, ci riprenderemo i nostri anni e saremo felici di ballare soli sotto la neve.
(Eddie Bertozzi,  spietati)

La nuova gioventù cinese (solo ?)
La coppia del nuovo millennio che formano Zhang e Tao, lui nella sua vorace e proterva vacuità, lei nell'acquiescenza all'energia aggressiva del marito, si configura quindi come un'immagine della nuova gioventù cinese nel momento in cui il Paese sta per subire il fascino e la progressiva contaminazione del consumismo globalizzato: una gioventù che non esita a sacrificare come ingombrante ogni vecchio idealismo (i sentimenti di Liangzi, che ha il difetto di mancare d'ambizione e di essere povero) con un'ansia di futuro che sembra reificarsi nei colori squillanti degli abiti indossati da Tao, pennellate di rosso nel grigiore ferroso dei cromatismi dominanti la quotidianità.
(Roberto Chiesi, Cineforum)

scheda tecnica a cura di Paolo Filauro

 



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