Home
 • Il Programma
  

 


Scheda critica del film:

  

Loveless

(Nelyubov)

Il regista
Nato a Novosibirsk nel 1964, Andrej Petrovič Zvjagincev si è laureato al corso di recitazione all’Università di Arti Teatrali sotto la supervisione di Evgeny Lazarev. Subito dopo entrò a far parte di una produzione di teatro indipendente e ricoprì una serie di piccoli ruoli in diversi programmi per la tv e per il cinema. Nel 2003 il suo primo lungometraggio, Il ritorno, è stato uno dei film rivelazione dell’anno vincendo il Leone d’oro a Venezia. Meno riusciti i successivi The banishment (2007), Elena (2011), mentre è stato molto apprezzato dalla critica Leviathan (2014), che ha vinto tra l’altro il Golden Globe come miglior film straniero. Loveless ha confermato il suo talento, ottenendo vari riconoscimenti tra cui il prestigioso Premio della Giuria al Festival di Cannes.

Note di regia
“Mi piacerebbe riuscire a tracciare delle linee di collegamento tra Loveless e il film di Ingmar Bergman Scene da un matrimonio, trasposto in un epoca diversa e recitato da altri personaggi: cittadini contemporanei, privi di qualsiasi forma di autocoscienza o dubbio, una coppia della classe media della Russia di oggi. Stanchi l’uno dell’altro dopo tanti anni di matrimonio, un uomo e una donna decidono di divorziare. Una situazione come tante altre … Solo che entrambi hanno già nuovi progetti di vita. Desiderano voltare pagina. Iniziare un nuovo capitolo della loro vita, con un nuovo partner e nuove emozioni che li possano far sentire finalmente completi e pieni di buoni propositi per il futuro. L’esperienza passata ha minato un po’ la loro fiducia ma sono ancora carichi di aspettative per il futuro. Quello che rimane da fare è liberarsi del fardello che si frappone tra loro e la felicità: il figlio Alëša, un estraneo per entrambi, che diventa uno straccio che si lanciano con rancore uno in faccia all’altro. ‘Voglio che sia diverso: non voglio ripetere gli errori che mi hanno portato a questa delusione; voglio un nuovo inizio’ – è quello che pensano tutti quelli che si vergognano dei propri fallimenti. Alla fine, l’unica cosa che puoi realmente cambiare è te stesso. Solo dopo averlo fatto il mondo che ti circonda tornerà a splendere di nuovo. Questa era postmoderna è una società post-industriale inondata da un continuo flusso di informazioni ricevute da individui che si interessano alle altre persone sporadicamente e solo per ottenere qualcosa in cambio. Ogni individuo pensa solo a se stesso. L’unico modo per potersi sottrarre a questa indifferenza è quello di sacrificare se stesso per gli altri, anche per persone estranee, come il coordinatore dei volontari che perlustra il paese per cercare il bambino scomparso, senza ricevere nessuna ricompensa, come se questo fosse l’unico scopo della sua vita. Uno scopo che dà senso ad ogni sua azione. Questo è l’unico modo per combattere la brutalità e il caos del mondo”.
(Pressbook italiano del film, in www.mymovies.it)


La critica
La sparizione delle persone attrae da sempre il pubblico, tanto da aver generato un programma tv ambiguo quanto popolare e una fiction a puntate, Scomparsa, attualmente trasmessa dalla Rai. Non ci si aspetti nulla del genere da Zvyagintsev, perché il suo film è un thriller senza altri colpevoli che l'indifferenza e il disamore. Anziché sulla soluzione dell'enigma (nessuna traccia, nessun testimone: Alëša sembra evaporato), il regista si concentra sull'egoismo agghiacciante dei genitori: come se il figlio, per loro, non esistesse più da tempo. Però la cosa più efficace è che Andrey, pur sezionandone sul tavolo chirurgico l'atonia sentimentale, non intende giudicarli né additarceli come mostri da odiare (Ženja appare il clone/vittima di sua madre, protagonista di una scena che ne rivela l'anaffettività). Senza peraltro ricorrere a scorciatoie psicologiche per assolvere i personaggi, la cui cecità arriva a interpellare gli spettatori con figli sul loro stesso ruolo genitoriale. Zvyagintsev non è l'unico uomo di cultura a stigmatizzare l'egoismo e l'individualismo della Russia odierna; il suo film è però, nei lunghi piani sequenza freddi come il clima in cui si svolgono gli eventi, di un'aderenza alla materia rappresentata che non sapremmo paragonare a nessun altro. È anche un film aspro e perturbante, non roba per anime belle: ma è un prezzo che vale la pena pagare”.
(Roberto Nepoti, in “La Repubblica”, 7 dicembre 2017)


Nelyubov - Loveless, ovvero ‘privo di amore’, espressione che nel film ha un doppio significato. È senza amore innanzitutto il protagonista, un bambino, che pure scompare dal racconto dopo una manciata di sequenze, giusto il tempo di esprimere il suo dolore per la separazione dei genitori, i quali senza tanti complimenti parlano davanti a lui delle nuove, rispettive vite di coppia che li aspettano dopo la rottura. Ma senza amore, in una valenza ora positiva del termine, è anche lo sguardo del regista su questo mondo di sfacelo morale, dominato dall’egoismo e dall’utilitarismo. Abbandonati le atmosfere malinconiche e i tempi morti del precedente Leviathan, Zvyagintsev questa volta gira con crudele essenzialità, riempiendo i vuoti del melodramma con una messa in scena di gelida eloquenza, dominata da piani sequenza e riprese fisse che fotografano impietosamente la deriva morale dei protagonisti. La sequenza ambientata in un obitorio rappresenta, sotto questo punto di vista, il momento più alto del film, per la capacità di registrare con toni impassibili e severi una miseria esistenziale che finalmente rompe gli argini dell’interesse personale. Loveless però non è un film di pentimento e ravvedimento, anche in questo sta la sua grandezza. Il finale racconta infatti un agghiacciante ritorno alla normalità: la falla morale apertasi nei personaggi si richiude rapidamente, i riti della quotidianità prendono nuovamente il sopravvento. Nel frattempo il regista ha disseminato le ultime sequenze di piccoli dettagli che danno alla vicenda un significato politico: la famiglia lacerata come la Grande Madre Russia, il figlio come uno stato interno che prova disperatamente a segnalare la propria esistenza”.
(Leonardo Gandini, in “Cineforum”, dicembre 2017)

scheda tecnica a cura di Guido Levi
 



© 2018 2019 Cineforum Genovese