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Scheda critica del film:

  

La truffa dei Logan

(Logan Lucky)

Il regista

Steven Soderbergh, all'anagrafe Steven Andrew Soderbergh, è nato il 14 gennaio 1963 ad Atlanta da una famiglia di origini svedesi, come dimostra la forma non anglicizzata del suo cognome, "Söderberg". Ha trascorso la sua adolescenza a Charlottesville, in Virginia, per poi trasferirsi con la famiglia nel Louisiana, a Baton Range. È proprio durante gli anni del liceo che il giovane regista scopre la passione per il cinema, iniziando a girare alcuni cortometraggi con una Super 8. Dopo il diploma si trasferisce a Hollywood per dedicarsi completamente al cinema, ma i primi incarichi lo vedono lavorare come montatore freelance. Tornato a Baton Range realizza il suo primo film, Sesso, bugie e videotape (1989), un debutto eclatante coronato dalla vittoria della Palma d'oro a Cannes, un Indipendent Spirit Award e diverse altre candidature, tra cui anche una nomina agli Oscar come Miglior sceneggiatura originale. Il film, considerato una delle pellicole più influenti del movimento anni '90 del cinema indipendente, permette al suo fattore di essere uno dei registi più giovani a vincere il festival.
La sua carriera prosegue con film che hanno avuto grandissimo successo (basti pensare alla serie Ocean’s , ai due film sul Che, a Erin Brockovich, Traffic con l’Oscar 2000) e con sperimentazioni spesso “audaci”: Bubble, e soprattutto Unsane e High Flying Bird, girati interamente con un iPhone.

La Produzione
 “Da un punto di vista tecnologico – dice Soderbergh - siamo giunti ad un punto nel panorama del digitale per cui una piccola società può distribuire capillarmente un film senza far ricorso alle major. Stavo appunto avendo varie conversazioni sul futuro della distribuzione cinematografica quando la sceneggiatura è arrivata per caso”. La sceneggiatura, arrivatagli da sua moglie Jules Asner, era scritta dalla loro amica Rebecca Blunt. “Inizialmente mi è stato chiesto di aiutare a trovare un regista, ma quando ho letto la sceneggiatura ne ero entusiasta”, continua Soderbergh. “Dopo un paio di settimane, ho ammesso di non volere che nessuna altro dirigesse La truffa dei Logan perché riuscivo a vedere chiaramente il film in quelle pagine. È una specie di cugino dei film Ocean’s, ma è anche una loro inversione perché i personaggi non posseggono denaro né tecnologia. Vivono in circostanze economiche molto difficili, un paio di sacchi della spazzatura pieni di soldi possono cambiar loro la vita”. “Mi piace anche il fatto che alI’inizio del film, i personaggi non siano dei criminali”, aggiunge. “Diversamente dalla squadra di Ocean, Jimmy Logan e i suoi devono imparare il mestiere, mi piaceva quest’aspetto della sceneggiatura. La storia era abbastanza vicina al genere di film che mi mettono a mio agio, ma abbastanza diverso da entusiasmarmi”. Finanziato in maniera completamente autonoma rispetto alle major, e distribuito negli Stati Uniti dalla nuova società di Soderbergh Fingerprint Releasing, in associazione con Bleecker Street (Captain Fantastic, L’Ultima Parola – La vera storia di Dalton Trumbo), La truffa dei Logan rappresentava esattamente il modello di film indipendente potenziato dal digitale.
(dal pressbook)

Siamo tra il North Carolina e la West Virginia, in una specie di buco nero sociale degli Stati Uniti contemporanei. Quest’ultimo stato in particolare è in assoluto il più povero dell’intera nazione, quasi interamente rurale, dove in alcune contee l’aspettativa di vita maschile raggiunge il record negativo di 64 anni, come se fossimo nell’Africa sub-sahariana. Una volta roccaforte dei sindacati e del partito democratico (erano i tempi dell’economia delle miniere), oggi la West Virginia è afflitta da una cronica forma di marginalità economica e culturale, e non stupisce che proprio nei suoi collegi elettorali Donald Trump alle ultime elezioni abbia preso le percentuali in assoluto più alte di tutti gli Stati Uniti….
Logan Lucky mostra un mondo upside-down (ma in modo ben più intelligente e sottile di come se lo immaginano i Duffer Brothers di Stranger Things 2): dove la working class non è più umiliata e arresa, ma è perfettamente capace di mettere il proprio ingegno a servizio di un atto non ortodosso di redistribuzione; dove i poveri del Sud non sono più degli stupidi, ma sono semmai più intelligenti e astuti persino degli agenti dell’FBI; dove si riesce a costruire un’arma anche solo con un po’ di caramelle, di colla e di sale iodato; e dove persino le bambine – dato che non ci si fa mancare nemmeno un po’ di orgoglio localistica/sudista – alla fine preferiscono la (pseudo)-locale Country Roads di John Denver alla globalizzata Umbrella di Rihanna….
Dopo tanto cinema del quale si dice a sproposito che rappresenti l’“America di Trump” questo piccolo, ennesimo, capolavoro di Steven Soderbergh l’America di Trump ce la fa vedere davvero. Innanzitutto perché Jimmy e Clyde Logan, e tutto il loro improbabile gruppo di aiutanti, probabilmente di Trump sono stati davvero elettori: ce lo suggerisce il fatto che siano stati nell’Esercito, che ascoltino nell’autoradio il country di Loretta Lynn (che di Trump è stata esplicita supporter) o che si vestano con le magliette della Charlie Daniels Band (che è uno dei cantautori dei Tea Party). L’ America di Trump però non è solo una massa di stupidi ignoranti e di bifolchi. Non è soltanto cursed da disoccupazione, ignoranza, povertà, militarismo ecc. Può anche essere lucky. O meglio, potrebbe esserlo… se solo facessimo uno sforzo d’immaginazione.
(Pietro Bianchi, Cineforum)

Fra America “country”, fiere di paese e amore per John Denver tramandato ai figli, la ‘rapina dei bifolchi’ s’iscrive, anche, nel filone del dramma dei padri separati (“Take me home, country roads” nel canonico momento accorato). Il Danny Ocean vincente indossa la maschera dell’outsider Jimmy Logan e punta ancora a fottere il Sistema che, in questo caso e fuor d’allegoria, non ha lasciato altra scelta (ma nel racconto manca l’innesco) a due fratelli “invalidati”: il Soderbergh che si gingilla con i generi ama identificarsi con i robin hood (“This is a work of fiction, nobody was robbed during the making of this film, except you”, sui titoli di coda), fino al (quasi) nonsense della distribuzione di contanti agli ignari comprimari della rapina. Il tutto si specchia, anche, con quello che sta cercando di fare da anni per conservare l’indipendenza creativa: in questo caso, i divi hanno partecipato ai profitti di un film con diritti prevenduti oltreoceano, distribuzione propria su suolo americano (società Fingerprint Releasing) e marketing sottratto alle major. Maledetti dalla sfortuna, i Logan piegano il predeterminato (forse: il finale è aperto) con l’ingegno, alla stregua di Soderbergh che s’avvale della sceneggiatura della sconosciuta Rebecca Blunt, talentuosa nel pennellare i personaggi (l’addolorato Adam Driver), sagace nelle situazioni buffe (l’alibi morale per l’ossigenato Daniel Craig; il contatto fantasmico vestito da orso; la rivolta in prigione per “Il Trono di spade” incompiuto), fine nell’irrisione con morbidezza pungente da commedia classica. Dopo i tasselli preparatori (di cui non è spiegata la funzione: saranno efficaci), nella seconda parte è protagonista la sola rapina, con imprevisti, dinamiche fra l’ingenuo e il genio (il rientro in prigione da pompieri) e flashback rivelatori improduttivi (rivedere la rapina non espone, come desiderato, la scaltrezza del protagonista).
(Niccolò Rangoni Machiavelli, spietati)

scheda tecnica a cura di Paolo Filauro
 



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