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Scheda critica del film:

  

Ti guardo

(Desde allà)

Il Regista

Lorenzo Vigas nasce a Merida (Venezuela) nel 1967. Prima della carriera di regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, si laurea in Biologia molecolare presso l'Università di Tampa.
Nel 1995 ha studiato cinema alla New York University e ha iniziato a dirigere film sperimentali. Tornato in Venezuela nel 1998, ha diretto documentari e spot pubblicitari. Stabilitosi in Messico, nel 2003 ha diretto il cortometraggio Los Elefantes nunca olvidan, prodotto da Guillermo Arriaga e presentato al Festival di Cannes. Con il suo primo lungometraggioTi guardo, ha vinto il Leone d'Oro alla 72. Mostra del Cinema di Venezia.

 

La fisica delle passioni
È proprio dal contatto fisico, o dalla sua mancanza, che prende il via la storia di Armando e di Elder. Il ragazzo cerca il contatto fisico anche attraverso le botte e gli spintoni, il cinquantenne lo rifugge come oscuro precipitato di un rapporto con il padre e, forse, con una madre troppo idealizzata, che vediamo solo in una galleria fotografica simile ad un tempietto pagano. Tutto ciò che circonda Armando (esseri umani compresi) è fuori fuoco, ma quando Elder comincia a porsi al centro dell'esistenza dell'uomo più anziano, rubandogli di fatto l'inquadratura, gli equilibri saltano e le conseguenze si fanno pericolose. Con grande controllo dell'immagine, dalla palette dei colori sfumati al netto distacco fra sfondo e primo piano, il regista venezuelano Lorenzo Vigas debutta al lungometraggio con un film intenso e perturbante sceneggiato sulla base di un soggetto co-scritto insieme a Guillermo Arriaga. Desde allà realizza cinematogra- ficamente il sogno panamericano di Che Guevara poiché unisce le creatività del venezuelano Vigas, del messicano Arriaga e del cileno Alfredo Castro, l'attore feticcio di Pablo Larrain che qui incarna con lunare straniamento l'apatico Armando, sempre pronto a produrre una mazzetta di bigliettoni con cui comprare gli esseri umani che rifiuta di toccare. Armando sa, per formazione socioculturale, che avrà sempre il coltello dalla parte del manico in un Venezuela diviso in caste destinate a non interagire, se non in termini di violenza e sopraffazione. In quella struttura gerarchica non può esistere una terza possibilità di comunicare, né con i corpi né con le parole, cui spesso Vigas sostituisce genialmente i suoni d'ambiente - il trapano che sembra implorare pietà con il suo gemito stridulo e insistente, il fruscio del denaro che sancisce l'accettazione fuori campo di uno scambio mercificatore.
Niente di tutto questo è "normale" ma è tutto quotidiano, e dimenticare i propri peccati, come singoli e come nazione, sembra la regola non scritta, eppure da tutti ben compresa. Tutti meno Elder, antieroe pasoliniano tracimante rabbia e tenerezza, commovente nello sfoggiare la maglia numero 10 degli attaccanti e dei fantasisti del pallone, e invece confinato a un'officina e a una baraccopoli di Caracas. In un Paese di cattivi padri, ai figli, e ai figli dei loro figli, non resta spazio per trovare la propria umanità, o la propria identità maschile. Ed è proibito colmare le distanze che fanno comodo a pochi: ma sono i pochi che contano.
(Paola Casella, mymovies.it)

Spazi, sguardi, seduzione
Nella versione originale, il titolo del film di Lorenzo Vigas è Desde allá, che tradotto vorrebbe dire “da lì”. Da lontano, come recita il titolo inglese, From Afar. Da noi esce col titolo, non sbagliato, di Ti guardo.
È facile capire, insomma, che questa opera prima del figlio di uno dei più importanti pittori venezuelani e sudamericani, Leone d'Oro a Venezia 2015, sia tutto una questione di sguardi e di distanze. Di messe a fuoco, quindi. Guarda caso, con la messa a fuoco, con l'utilizzo di focali corte che si concentrano sui soggetti in primo piano, o comunque vicini, e che lasciano lo sfondo indistinto, Vigas gioca liberamente, e coscientemente. Ovvio, il mondo di Ti guardo è solo quello di Armando e Elder, nessun altro conta o deve contare, e quindi è bene che rimanga sfocato e indefinito sullo sfondo.
Eppure, anche questi due protagonisti a fuoco, non riescono mai davvero a mettersi a fuoco l'uno con l'altro, alimentando così un costante ribaltamento di ruoli che confonde e mescola.
Dapprima l'Armando passivo e distaccato di un imponente Alfredo Castro è una vittima: dei suoi istinti, della bellezza del giovane Elder, della sua violenza aggressiva. Ma tramite la stessa, apparente passività (e remissività), Armando è in grado di cambiare di segno a questo rapporto, a fare di Elder la vittima della sua seduzione, di un corteggiamento che lo avvolge lentamente come le spire di un serpente e dalla quale non avrà alcuna possibilità di scampo: se non quella dell'abbandono.
E poi, ancora, cambia qualcosa. Sguardi che cambiano, distanze che mutano, personalità che richiedono costanti aggiustamenti della messa a fuoco. Sullo sfondo, il rumore bianco della generica violenza, fisica e psicologica di una società provata e rabbiosa, che finirà con l'inghiottire tutto.
E tutto questo Vigas lo racconta attraverso la stessa inesorabile inerzia di Armando, nei cui occhi e nella cui mente è racchiuso tutto il mondo di Ti guardo. Un film, Ti guardo, elegante, inesorabile, seducente. Ma al tempo stesso indecifrabile e quasi volutamente anonimo, comune, come l'Armando che racconta e che ci si nasconde dentro. 
(Federico Gironi, Comingsoon.it)

Il Mélo e il documentario
Lo stile di Vigas è controllato, anche troppo, e si uniforma a una tendenza molto in voga nel cinema d'autore latinoamericano di questi anni: annulla la profondità di campo isolando tra sfocature i personaggi al centro dell'inquadratura; utilizza con sapienza il fuori campo; abolisce la musica di commento per amplificare il senso di vuoto, anche sonoro, dei protagonisti.
La prima parte del film, anche grazie all'impassibilità sofferta del protagonista Alfredo Castro – attore feticcio di Pablo Larraín – e alla nervosa fisicità del giovane Luis Silva, raffigura uno spaccato convincente di un mondo in cui la sola idea di affetto appare come utopica, irrealizzabile se non addirittura trasgressiva. Nell’ultima parte però la scrittura prende il sopravvento – e forse la presenza in veste di produttore di Guillermo Arriaga non è stata indolore – rendendo la narrazione più meccanica e costruita, rinunciando alla limacciosa, credibile naturalezza in nome della ricerca del colpo di scena.
Vigas sembra a suo agio più nell’osservazione accurata – dovuta anche a un passato da documentarista – che nella costruzione della storia e Desde allá finisce per inciampare in un finale artificioso che comunque non cancella i lampi di consapevole talento intravisti nel film.(Federico Pedroni, cineforum.it)

Nouvelle vague sudamericana
Qualcuno la chiama già la new wave del cinema latinoamericano. E con questa definizione, prende in considerazione due pellicole premiate e amate nel corso del 2015 ed entrambe dirette da registi sudamericani: El club di Pablo Larrain e Ti guardo di Lorenzo Vigas. In effetti, la visione di Ti guardo (Desde allà) conferma che qualcosa di bello accomuna questi due film. Si tratta di due espressioni artistiche che condividono in profondità, la capacità di porre l'attenzione sui nodi che la società continuamente rimuove, nasconde e censura. In El Club, l'oggetto di questa ricerca pericolosa era il rapporto tra rettitudine e peccato all'interno della Chiesa moderna. Per Lorenzo Vigas, l’ombra da esplorare è invece la solitudine umana e le cause che la generano di volta in volta, di persona, in persona. Questa indagine artistica è poi calata in un contesto geografico e sociale ben preciso. Quello della città di Caracas in Venezuela.
(Alessa Laudati, Film.it)

scheda tecnica a cura di Mathias Balbi

 



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