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Scheda critica del film:

  

Fiore

Il Regista
Claudio Giovannesi, regista, sceneggiatore e musicista, è nato a Roma nel 1978.
Nel 2009 ha diretto il suo primo lungometraggio La casa sulle nuvole (Jury Special Award – Brussels Film Festival 2009) e il documentario Fratelli d’Italia (Premio speciale della giuria al Festival Internazionale del Film di Roma 2009; candidato ai Nastri d’Argento come Miglior Documentario).
Nel 2012 ha diretto il suo secondo lungometraggio Alìha gli occhi azzurri che ha vinto il Premio speciale della giuria e il Premio alla miglior opera prima e seconda al Festival Internazionale del Film di Roma. Il film è stato distribuito in Italia, in Francia e in Spagna.
Il suo ultimo documentario, Wolf, ha vinto il Premio Speciale della Giuria al 31° Torino Film Festival.
Nel 2014 ha partecipato al film collettivo 9 x 10 Novanta presentato alla 71a Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
Nel 2015 ha diretto gli episodi 7 e 8 della serie Gomorra 2.

Romeo e Giulietta dietro le sbarre di un carcere minorile
Il film è stato girato in un carcere minorile non utilizzato, che è quello dell'Aquila ristrutturato dopo il terremoto e rimasto vuoto. "Tipica storia italiana: era un deserto dei Tartari con veri poliziotti e nessun detenuto - ha spiegato Giovannesi - Noi lo abbiamo usato abitandolo con alcuni dei ragazzi con cui avevamo fatto laboratori, ex criminali o in regime di messa alla prova e poi con alcune guardie carcerarie. La troupe dormiva con gli attori, era un ambiente multietnico perché come si vede nel film ci sono ragazzi di ogni provenienza. E' stata una vera esperienza di vita che poi è confluita nel film".
Anche il suo film precedente, "Alì ha gli occhi azzurri", aveva per protagonisti due adolescenti. "L'adolescenza ci offre uno sguardo sulla realtà presente e sul futuro della nostra società ed in questo sta la dimensione politica. Se racconti i ragazzi di oggi stai raccontando l'Italia di domani, quelli che saranno gli adulti tra dieci o vent'anni. L'adolescenza è qualcosa che tutti abbiamo vissuto ma che ora abbiamo perso e quindi è ormai qualcosa che è altro da te. Io spero che il pubblico per questo film sia vasto, tutti lo possono capire perché il desiderio d'amore è universale e vale per tutte le età. Per cui spero che i nostri spettatori non siano solo gli adolescenti ma anche e soprattutto loro”.
(Chiara Ugolini - martedì 17 maggio 2016 )

Adolescenti di borgata
A Claudio Giovannesi piace raccontare quello che, dopo anni di lavoro, conosce bene: gli adolescenti di borgata, quella gioventù vitale e spigolosa che, spesso, sfoga la sua irrequietezza nell’illegalità.
La fuga (anelata, sognata, temuta, fuga da sé prima che dagli altri) è l’unico sfogo possibile per Dafne, e per un film che lavora costantemente, e con grande intelligenza sull’inesploso, su una moderazione e modellazione dei toni che non è repressione, ma solo la voglia di non far ebollire il suo materiale e i suoi personaggi solo per il gusto di vedere l’effetto che fa.
La tensione è tanta, in Fiore, fin dal primo minuto. Una tensione che è narrativa, che è psicologica, emotiva. Poi anche sentimentale e perfino sessuale. Dafne lotta con la propria insopprimibile voglia di ribellione, coi suoi sentimenti, con le compagne di galera e con le assistenti carcerarie. E certo, a volte esplode, ma non trascende mai: perché non sarebbe vero, non sarebbe utile né a lei né al racconto.
Per contro, non si addolcisce nemmeno troppo quando si trova di fronte a un padre un po’ così, che ha finito di scontare una pena anche lui, che le vuole bene e che ci prova a fare il suo dovere anche se non sa bene da che parte si cominci: un padre commovente che ha lo sguardo malinconico e la calma dolente e sorniona di Valerio Mastandrea, col quale Dafne è protagonista di scambi ora affettuosi, ora ruvidi, ma senza mai esagerare.
L’intensità raggiunta da Giovannesi con la pratica costante di questa misura è alta, e più Fiore e la sua protagonista stanno dentro le righe, magari al limite, ma senza mai esondare, più l’emozione per noi che guardiamo e seguiamo le loro storie è profonda.
Allo stesso modo, l’energia di Dafne è tanto più trascinante quanto più è costretta e imbrigliata dalla sua stessa irrequietudine e dalle mura e le sbarre del carcere, o dagli obblighi familiari che la tentano e la opprimono al tempo stesso; e la tensione erotica tra lei e il suo Josh è più potente quando la carnalità non viene espressa né evocata, che quando al legame affettivo tra i due si mescola l’esplicita attrazione sessuale.
In qualche modo, allora, più ancora che nei suoi lavori precedenti, Fiore è il film dove Claudio Giovannesi cerca e riesce a domare l’indomabile, lasciando che poi la corsa folle e irresponsabile verso un futuro che non c’è risulti dolce e amara al tempo stesso, proprio perché così tanto attesa e rimandata.
(Federico Gironi, 17 maggio 2016, comingsoon.it)

  

Gli “Ultimi “in una trama già vista
Claudio Giovannesi torna a raccontare gli ultimi concentrandosi in particolare sui più giovani e scansando la retorica e il buonismo grazie alla forza documentaria della sua regia agile e mai edulcorata. Giovannesi è un cavallo di razza dietro quella cinepresa che non stacca mai dai personaggi, stando loro sul collo e respirando il loro stesso respiro.
La storia di Fiore poggia sulle spalle esili (solo fisicamente) del personaggio femminile (un trend molto interessante del nuovo cinema italiano) che la regge con la grazia inconsapevole di un papavero di campo: il debutto di Daphne Scoccia è davvero notevole per immediatezza e carisma, e assai credibile è anche Josciua Algeri, con il suo accento che mescola hinterland milanese e radici meridionali con dolcezza e tracotanza. Ne emerge il ritratto di una vitalità insopprimibile come quelli dei fiori che crescono in mezzo al letame, o nelle fessure dei marciapiedi.
Il pregio di Giovannesi è soprattutto lo sguardo pulito che scansa istintivamente gli autocompiacimenti di molti altri autori cinematografici.
Il difetto è l'esilità di una trama già vista, soprattutto nel cinema francofono: il personaggio di Dafne, senza tetto né legge, ha già avuto mille incarnazioni precedenti, da Bresson a Truffaut, da Agnès Varda ai Dardenne. Più originali la figura del padre, cui presta la consueta mestizia Valerio Mastandrea, e della matrigna rumena, né strega né fata benefica. Daphne Scoccia sconta purtroppo la somiglianza fisica con Astrid Berges-Frisbey, protagonista del più coraggioso e innovativo Alaska, anch'esso assai legato all'estetica cinematografica (e alla coproduzione) francese.
Auguriamo a Giovannesi di spingersi oltre le sue conoscenze filmiche pregresse e di buttare la cinepresa (e il cuore) oltre l'ostacolo per trovare la propria cifra originale, possibilmente radicata nel suo essere un regista italiano, oltre che un cittadino del mondo.
(Paola Casella, mymovies.it)

Un FIORE selvatico
Ci sono tanti tipi di fiori. Fiori profumatissimi, dai colori ammalianti o dai petali delicati, con o senza spine. Ognuno ha un preciso significato, una simbologia antichissima che copre tutti i sentimenti umani. Ci sono i fiori da cerimonia, da esporre nei balconi o da regalare all’amata. E poi ci sono i fiori selvatici, quelli che crescono in ambienti ostili, nelle intercapedini dei marciapiedi o nelle crepe del cemento.
Daphne è un fiore selvatico. Ha diciassette anni, un’adolescenza sbandata e ribelle tra rapine di smartphone in metropolitana e alloggi di fortuna. La rabbia adolescenziale e il carattere schivo e freddo nascondono un grande bisogno di affetto e di tenerezza. Sentimenti non corrisposti dai genitori, una madre che l’ha abbandonata e un padre in crisi, da poco uscito dal carcere. Con una vita così vuota e precaria sentirsi perennemente in fuga diventa l’unica risposta possibile, ma prima o poi ci si ritrova in un vicolo cielo. L’inevitabile epilogo della sua corsa disperata dopo una rapina fallita è il carcere minorile.
In un ambiente come il riformatorio, con le privazioni e le rigide regole a cui i ragazzi devono sottostare, far crescere e sbocciare un fiore selvatico è impensabile. Ma Daphne troverà la forza di resistere, di riallacciare un rapporto di affetto con il padre e, soprattutto, di innamorarsi di Josciua, un ragazzo rinchiuso nella sezione maschile. Il sentimento tra i due ragazzi, ostacolato da sbarre e restrizioni, privato di ogni contatto fisico, matura piano piano, tra molti sguardi e pochissime parole, comunicando con bigliettini scambiati nei vassoi nella mensa, come una storia d’amore d’altri tempi. Sarà la loro salvezza, la speranza a cui aggrapparsi per credere in un riscatto, in un futuro altrimenti precluso e senza sbocchi.
Il giovane regista romano non giudica i “suoi” ragazzi, li osserva incessantemente, quello che gli interessa è la sfera emotiva. La macchina da presa a spalla pedina da vicino Daphne, spesso con primissimi piani, senza sosta, ma sempre con profondo rispetto, senza nessuna morbosità. Riesce a farci sentire il suo respiro, i battiti del cuore, l’emozione del progressivo innamoramento. Fiore emoziona con grande delicatezza e senza perdere mai il senso della misura. L’esordiente Daphne Scoccia, scoperta per caso dal regista mentre serviva ai tavoli di una trattoria, è veramente formidabile nel far trasparire dietro l’istinto ribelle e la dura scorza un grande bisogno di tenerezza e di umanità. Recita con una personalità e una presenza scenica impressionanti, in grado di esprimere con estrema naturalezza le emozioni tipiche dell’adolescenza come la rabbia, l’irrequietezza e l’orgoglio.  
“La realtà è una grande risorsa di ispirazioni, non c’è bisogno di aggiungere altro. Quello che conta è lo sguardo sulla realtà” afferma Giovannesi. Il suo ha una raffinatezza e una delicatezza in grado di persuaderci che anche nel cemento può aprirsi una crepa, e sbocciare un fiore. 
(Sergio Del Maso , mymovies.it)

Partecipazione affettiva fraterna
Il regista ama i suoi personaggi, la loro fragilità e la loro forza, i loro sì e i loro no, e ce li fa amare. Li ama, va detto, rispettando anche “gli altri”, benché lasciati sullo sfondo: gli educatori, gli adulti preposti alla loro “rieducazione” ma, per condizionamenti di funzione, meno liberi dei controllati.
Con precisione di tocco, con delicatezza, e con forza, e con sincerità, Giovannesi racconta Daphne e Josh con una partecipazione affettiva che è senz’altro fraterna, che non è paterna e tanto meno paternalistica. Sta per davvero dalla loro parte, anche se non arriva a chiedersi cosa ne sarà di loro dopo la loro fuga, cosa gli riserverà il mondo e cosa potranno diventare.
(Goffredo Fofi, 9 giugno 2016, internazionale.it)

scheda tecnica a cura di Stefano Bona

 



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