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Scheda critica del film:

  

Figlia mia

La Regista

Laura Bispuri è nata a Roma nel 1977. Dopo la laurea in Cinema presso l'Università "La Sapienza" di Roma, è stata selezionata per la scuola di Regia e Produzione "Fandango Lab workshop". Con il suo primo cortometraggio "Passing Time" ha vinto il Premio David di Donatello come miglior corto 2010. "Passing Time" è stato anche selezionato tra gli otto cortometraggi più belli del mondo nell'ambito dello "Short Film Golden Night", organizzato dall' Académie des César di Parigi. Con il suo cortometraggio, "Biondina", viene premiata con il Nastro d'argento come "Talento emergente dell'anno". "Vergine Giurata", il suo primo lungometraggio presentato in concorso alla 65ma Berlinale, in fase di sviluppo è stato selezionato dagli Atelier della Cinéfondation Festival di Cannes, dagli Ateliers d'Angers di Jeanne Moreau, dal New Cinema Network del Festival Internazionale di Roma e dal Venice European Gap Financing Market.
“Figlia Mia”  è il suo secondo lungometraggio, in Concorso al Festival di Berlino 2018.

Di chi è Vittoria ?
Laura Bispuri, dopo Vergine giurata, prosegue la sua esplorazione nelle dinamiche della femminilità affiancata nuovamente da Francesca Manieri. Lo fa con un film la cui radice esistenziale è rinvenibile nell'aggettivo possessivo del titolo: mia.
Di chi è Vittoria? Della madre che conosce come tale, Tina, che si occupa di lei (anche se non vede o non vuole vedere quanto le coetanee la isolino)? Oppure di Angelica, che l'ha messa al mondo poco dopo il suo arrivo sull'isola e l'ha ceduta perché consapevole di non sapere rinunciare alla propria personalità in continua tensione di ricerca? Ma, soprattutto, come può applicare quel 'mia' alla sua propria personalità in fase evolutiva (come voleva lo slogan femminista "Io sono mia") se la sua acquisizione di identità è minata da un dubbio crescente?
Bispuri accompagna le sue tre eccellenti protagoniste alla ricerca di se stesse utlizzando anche piani sequenza in cui il loro 'perdersi' è accompagnato da una colonna sonora tanto invadente quanto pronta a infrangersi per lasciare posto ad altro. È la sintesi dinamica di questo film in cui l'alternarsi di scoperte e smarrimenti si scontra con le urgenze del vivere. Un vivere che deve confrontarsi con una natura che, come una madre, può essere benevola o difficile da affrontare e compiacere. Come quando Vittoria sente il bisogno di pronunciare la parola 'mamma' senza sapere che quel sostantivo farà al contempo del bene e del male, promuovendo il riemergere di tensioni solo apparentemente sopite, sepolte sotto terra come un possibile tesoro in una necropoli sperduta nella selvaggia natura di un'isola carica di mistero. Un mistero come è, in qualsiasi società e in qualsiasi condizione, ancora oggi quello della maternità.
(Gian Carlo Zappoli, myMovies)

Essenza simbolica degli elementi
Dopo Vergine giurata, Laura Bispuri cambia territorio “d’intervento” (la Sardegna tra scogliere, necropoli e il Supramonte invece delle montagne albanesi) ma non la modalità di approccio al proprio cinema, che rimane fortemente ancorato all’essenza simbolica degli elementi, ad una simmetria di narrazione e struttura formale che nuovamente non riesce del tutto a sfuggire dal rischio di un’asfissia autoriale respingente.
I simboli, allora, i segni: tutto l’apparato visivo ci ripone così tanta attenzione da non poterli non notare, e questa telenovela che la piccola protagonista Vittoria (Sara Casu) guarda in tv con la madre Tina (Valeria Golino), cercando di non perdersi neanche una puntata, si fa in questo modo riferimento esplicito delle traiettorie da feiulleton che il film intende affrontare. Vittoria è infatti in realtà figlia di Angelica (Alba Rohrwacher), una “anima persa” che campa facendo la guardia alle bestie mentre si ubriaca nel bar del paese e si prostituisce con gli avventori. Angelica ha fatto un patto con la famiglia di Tina, che ha cresciuto la bambina, per non rivelare mai la verità a Vittoria, in cambio di sostegno e vicinanza: nell’istante in cui la “poveretta” sembra costretta a lasciare il villaggio perchè sfrattata di casa e la bambina inizia a rendersi conto della realtà, il film dà il via ad una giravolta di sentimenti forti e di violenti contrasti tra le due donne.
(Sergio Sozzo, Sentieri Selvaggi)

 Problema di verosimiglianza e autenticità.
Figlia mia è l’opera seconda di Laura Bispuri, in cui ritroviamo un po’ di quel che scrivemmo per l’esordio Vergine giurata del 2015: “tallonamento fisico, empatico e partecipante di Alba Rohrwacher”, “un occhio antropologico e l’altro di gender”, “una mancanza di radicalità poetica più che stilistica, uno scioglimento più agevole del previsto”.
Stavolta, però, è decisamente peggio: Figlia mia è un film non riuscito, che denunciando le abituali difficoltà dell’opera seconda stigmatizza un gravoso problema di verosimiglianza e autenticità.
L’alcolismo è macchiettistico, la scenografia del disagio pure, Angelica è una dropout acqua, sapone, mollettone e buoni sentimenti, ovvero la Rohrwacher non è credibile, per tacere della Golino: ma prendere due attrici sarde, per iniziare? La Golino è anche meno verosimile: pensi che con quel marito (il nostrano Michele Carboni) non ci starebbe mai, e che è costantemente troppo bella, troppo levigata e troppo pettinata per la parte. Insomma, sono sempre Alba e Valeria, mai Tina e Angelica. (Federico Pontiggia, Cinematografo)

Tutto troppo visibile ?
Vedendo Figlia mia ci si accorge dell’elementare costruzione drammaturgica che lo sostiene, senza alcuna deviazione dalle tre linee principali che renda sfumati i rapporti fra le tre protagoniste o le motivazioni delle loro scelte, e senza personaggi secondari (salvo forse il marito di Tina, risolto però in poche battute) che allarghino la rappresentazione realistica, e non puramente utilitaristica, dell’ambiente in cui è ambientato il film, la Sardegna sud-orientale del Supramonte, nettamente divisa fra mare e montagna, acqua e terra. 
In Figlia mia, purtroppo, tutto è troppo visibile, tutto troppo descritto e raccontato, con gli occhi troppo aperti della regista che finiscono per non mostrare nulla allo spettatore.
(Roberto Manassero, cineforum)

scheda tecnica a cura di Paolo Filauro

 

 



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