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Scheda critica del film:

  

Una donna fantastica

(Una mujer fantastica)

Il regista
Sebastian Lelio, regista, sceneggiatore, produttore e montatore di origine argentina (nasce a Mendoza l’8 marzo 1974), si trasferisce in Cile fin da bambino cambiando continuamente città. Studia giornalismo all'Università per un anno, ma poi si diploma alla Scuola di Cinema Cilena (Escuela de Cine de Chile). Ha diretto numerosi cortometraggi e video musicali. Nel 2003 ha realizzato Cero, un documentario basato su materiale inedito sugli attentati dell'11 settembre a New York, co-diretto con Carlos Fuentes. Ha anche diretto due stagioni della fortunata serie Mi mundo privado insieme a Fernando Lavanderos, che segue le vite di varie famiglie cilene di diversa estrazione socio-economica ed è stata nominata due volte agli Altazor Awards e agli Emmy Awards.
Nel 2005 presenta in anteprima al San Sebastián International Film Festival il suo primo lungometraggio La Sagrada Familia, girato in tre giorni e vincitore di numerosi premi internazionali. Nel 2009, il suo secondo lungometraggio Navidad viene presentato in anteprima al Festival di Cannes, mentre nel 2011 porta al Festival di Locarno L' Anno della Tigre, film ambientato nel periodo successivo al terremoto del 2010 in Cile.
Il quarto lungometraggio di Lelio, Gloria, ha conquistato poi il premio per la miglior attrice (Paulina García) al Festival di Berlino 2013.
Una donna fantastica ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero 2018 e l’Orso d’oro per la miglior sceneggiatura al Festival di Berlino 2017, oltre a una candidatura ai Golden Globes come miglior film straniero.

Pregiudizio e attualità
Quello che emerge da ciò che deve subire Marina è uno scenario di quotidiana grettezza in cui i protagonisti non vedono o, meglio, fingono di non vedere la realtà. Marina è donna nel profondo e nella relazione che ha iniziato con Orlando non é contemplata alcuna forzatura né da una parte né dall'altra. La società invece le cerca anche quando non ci sono perché sembra non poter essere altrimenti. Ecco allora che, pur con tutte le cautele, la responsabile del servizio di tutela dei minori cerca tracce di colluttazione tra i due partner pur sapendo che Marina è maggiorenne e potendo constatare con facilità le circostanze che hanno visto Orlando cadere per le scale e causarsi ferite ed ematomi. La ex moglie si erge a sua volta a difesa del coniuge e dell'onore della famiglia quasi che all'uomo spettasse la medaglia dell'innocente irretito nel gorgo della perversione. L'unico in grado di comprendere la situazione, ma impossibilitato ad andare oltre le convenzioni, finisce con l'essere il fratello del defunto. In giorni in cui il neoeletto presidente degli Usa Donald Trump decide di non difendere più, davanti alla Giustizia, la linea del suo predecessore che permetteva di utilizzare bagni e spogliatoi non secondo il sesso di nascita ma secondo la propria identità di genere, film come questo ci ricordano che, al di là delle esasperazioni da cui non sono esenti anche alcuni sostenitori del transgender, esistono dei diritti umani che debbono essere rispettati e tutelati. Spiace solo che non sia stato Larrain stesso a trovarsi dietro la macchina da presa. Perché si sarebbero evitate alcune cadute nella retorica più deja vu che non fanno bene alla causa che il film sostiene. È sufficiente citarne una per far comprendere le ragioni di questa osservazione: mettere come colonna sonora del momento in cui Marina va a consegnare l'auto di Orlando alla ex moglie "Natural Woman" di Carole King appare banale e scontato anche perché nulla aggiunge (semmai toglie) alla valida interpretazione della protagonista.
(Giancarlo Zappoli, mymovies.it)

Le geometrie della resistenza
Marina è Una donna fantastica, un essere fluttuante tra le rette che si incrociano nel mondo neoplasticista costruito da Sebastián Lelio. Tutto è dritto come in una composizione funzionalista, righe orizzontali e verticali che si intersecano creando spazi certi; le strade, i profili dei palazzi, i mobili, le decorazioni sulle pareti, il sovrapporsi dei piani all’interno dell’inquadratura, una rete di sicurezza – o forse una gabbia – in cui il dubbio pare non trovare posto. Però c’è Marina, che in quegli spazi si muove con sicurezza, a scompigliarne gli equilibri, suo malgrado. […] Comincia così a camminare a passo deciso lungo le linee che definiscono ortogonalmente gli spazi, sempre lo sguardo fisso davanti a sé, pronta in ogni momento a scartare, piegarsi, assecondare le aggressioni, le violenze, la comprensione, la compassione, quasi sempre senza parlare, ogni tanto sferrando qualche pugno a un pallone. Come se si allenasse a convogliare la forza della sua reazione sfogandone in quel mondo l’esplosività fisica e interiorizzandone l’energia. Comunque mai a cedere. Qualunque cosa le succeda, Marina la resiliente afferma il suo diritto a essere, in quell’universo cartesiano, un elemento che fluttua. Come nella bellissima scena della sauna quando, semplicemente alzando e abbassando l’altezza alla quale l’asciugamano copre il suo corpo, passa da una parte all’altra degli spogliatoi, con discrezione, con pudore, senza che nessuno la noti eppure a disagio da una parte e dall’altra per la minaccia che incombe costantemente su di lei, la negazione del suo diritto a essere chi è, senza bisogno di essere identificata con un categoria predefinita.
Sono sempre gli altri d’altronde che hanno necessità di riconoscerla, sono gli altri a essere mandati in crisi dal suo essere fluttuante, sono gli altri a cercare di scriverne la storia, a cercare di definirla appunto. Marina infatti di per sé è sostanzialmente un personaggio senza bisogno di narrazione, un personaggio che si dichiara tutto nel suo essere. Non per nulla prima il figlio di Orlando e poi la moglie, pur nella diversità di modi, denunciano il loro sgomento: quando ti ho davanti non so chi vedo, le dicono. Chi hanno davanti? Non la persona di cui il padre e l’ex marito si è innamorato, non qualcuno da odiare perché ha scardinato l'ordine familiare costituito, ma un essere che non riconoscono e che per il suo sfuggire all’incasellamento, li terrorizza.
(Chiara Borroni, cineforum.it, 18 ottobre 2017)

Ritratto di classe
Lelio restituisce un ritratto feroce della classe borghese e delle sue rivendicazione mai affrancata dai legami coi poteri anche quelli più sanguinari della dittatura, ma il suo centro rimane lei, Marina splendidamente incarnata da Daniela Vega, è la sua presenza che permea il film di fascino e di mistero rovesciando i cliché potrebbero soffocarlo. L'ambiguità sessuale di Marina diviene l'ambiguità del film, ne modella la sostanza spostando ogni riferimento nella dimensione del desiderio in un modo per tutti gli altri insostenibile. Estranea a quel mondo Marina mantiene il suo segreto, e con lei il regista che la filma senza mai mostrarne il sesso, quello che tutti vogliono sapere volgarmente. E' questa dimensione che le permette di essere donna e uomo insieme, di passare da una parte e dall'altra, di essere quasi hitchcockianamente una «vertigo», una donna che visse due volte, diviene quella del film, fantasmagoria intelligente di crudeltà e tenerezza. (Cristina Piccino, “Il Manifesto”, 14 febbraio 2017)

Un cinema di passioni
[…] impossibile non appassionarsi alla lotta messa in scena in uno dei migliori film del Concorso, il cileno Una mujer fantástica, di Sebastian Lelio (...) una Daniela Vega da premio […] film, mai urlato, sempre sorprendente (produce Pablo Larraín), non prende mai la strada facile dell'indignazione puntando invece sulla coerenza e la fierezza di questa protagonista davvero fantastica. Il cinema cileno continua la sua stagione d'oro. (Fabio Ferzetti, “Il Messaggero”, 14 febbraio 2017)

scheda tecnica a cura di Mathias Balbii
 



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