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Scheda critica del film:

  

Dheepan

Il regista
Figlio del regista e sceneggiatore Michel Audiard, Jacques Audiard dopo aver abbandonato gli studi di Lettere entra nel mondo del cinema come montatore. All'inizio degli anni ottanta si dedica alla sceneggiatura, collaborando con il padre per il film Mia dolce assassina diretto da Claude Miller. Esordisce alla regia nel 1994 con il noir Regarde les hommes tomber, tratto dal romanzo Triangle di Teri White. Presentato nella Settimana Internazionale della Critica del 47º Festival di Cannes, il film conquista tre Premi César, fra cui quello per la migliore opera prima. La sua opera seconda, Un héros très discret (1996), viene presentata in concorso al 49º Festival di Cannes, dove riceve il premio per la miglior sceneggiatura.
Nel 2001 realizza Sulle mie labbra (Sur mes lèvres), con Emmanuelle Devos e Vincent Cassel, candidato a nove Premi César, tra cui miglior film e miglior regista, e vincitore di tre premi (migliore attrice, miglior sceneggiatura e miglior sonoro). Segue Tutti i battiti del mio cuore (De battre mon coeur s'est arrêté) (2005), con Romain Duris, remake del film statunitense Rapsodia per un killer di James Toback, che viene presentato in concorso al Festival di Berlino e riceve un Orso d'argento per la colonna sonora, e trionfa ai Premi César, vincendo otto premi (su dieci candidature), tra cui quelli per il miglior film e il miglior regista. La definitiva consacrazione arriva con Il profeta (Un prophète) (2009), vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria del 62º Festival di Cannes e di nove Premi César, nonché candidato all'Oscar al miglior film straniero. Nel 2015 vince la Palma d'oro al 68º Festival di Cannes con il film Dheepan.

Le disavventure della comprensione
La conoscenza del diverso è tutta questione di punti di vista. In un periodo in cui l’immigrazione si pone come una nuova occasione per misurare la capacità dell’occidente di mettersi nei panni di chi rischia tutto per cambiare vita, il cinema sta cercando di fare la sua parte. Ispirandosi al primo grande esempio letterario di capovolgimento di punto di vista, le "Lettere persiane" di Montesquieu, Jacques Audiard racconta in Dheepan una turbolenta periferia parigina attraverso gli occhi di tre persone in fuga dalla guerra civile in Sri Lanka. […] Regolamenti di conti, spari in pieno giorno, rischiano di interrompere la quiete del processo iniziato da Dheepan; quello del superamento di una vita segnata fin da ragazzino dalla violenza. Il rischio è di riattivare una ritualità nascosta, che i canti di guerra lo portino di nuovo verso territori nascosti nel suo subconscio, portandolo a regolare a colpi di pistola le vicende della sua vita. Per interpretare questo rifugiato Audiard ha scelto un non professionista, nel campo della recitazione, ma ex professionista in quello della guerra di indipendenza Tamil. Lui, che ama lanciare volti nuovi come Tahar Rahim in Il profeta, si affida a Anthonythasan Jesuthasan, ragazzo soldato fino all’età di 19 anni, rifugiatosi poi in Francia. Un personaggio eclettico, che ha iniziato a scrivere da ragazzo, durante la militanza, pubblicando poi in europa alcuni libri pieni di riferimenti autobiografici.
In Dheepan le difficoltà di comprensione di abitudini di vita diverse dalle proprie occupa solo pochi minuti, anche divertenti, lasciando poi spazio all’inevitabile elemento di rottura della tranquillità domestica, facendo tornare la violenza nelle vite della famiglia per caso. Audiard prosegue il suo racconto delle marginalità, sociali o emotive, realizzando un film minore, svolto con la consueta abilità, anche se l’urgenza di raccontare questa storia sembra più che altro tematica. Affascinato da una cultura da scoprire sembra preoccupato di rispettarne le peculiarità, finendo per rappresentare dei simboli più che dei personaggi in carne ed ossa. Anestetizza il suo grande talento di narratore, sembra volerli proteggere, portandoli docilmente verso una conclusione all’insegna di quella speranza che nella vita hanno solo sognato.
(Mauro Donzelli, comingsoon.it)

Comunicazione e Linguaggio
Qualsiasi storia nel cinema di Audiard per raggiungere il paradiso del sentimentalismo, quella punta emotiva che suscita nello spettatore l'irrazionale sensazione di partecipazione alle vicende dei personaggi, deve passare per l'inferno della violenza. Come se le due forze fossero inscindibili nei suoi film si attraggono a vicenda: gli atti violenti o criminali chiamano amore e ogni amore per concretizzarsi prima o poi richiede di essere legittimato dalla violenza, altrimenti sembra non poter essere davvero tale.
Destinato a mettere a confronto e a sovrapporre questi due estremi, questa volta Audiard decide di eliminare ancora più del suo solito il primo livello di comunicazione. I protagonisti di Dheepan fanno molta fatica a parlarsi, non solo spesso non si capiscono per problemi di lingua ma anche quando parlano lo stesso idioma è come se non riuscissero ad essere chiari gli uni con gli altri. […] I protagonisti di Dheepan hanno solo i fatti e le azioni per spiegarsi ma per Audiard bastano e avanzano. Il regista non teme di scrivere una scena di dialogo, forse la più bella ed intensa del film, tra due persone che parlano ognuno una lingua che l'altro non conosce, eppure sembrano stranamente sulla stessa lunghezza d'onda. Si tratta forse dell'unico momento nel film in cui si intravede un lampo della capacità quasi ottocentesca che quest'autore ha di raccontare gli uomini attraverso lo stordimento.
Questa volta la riluttanza con cui il protagonista cerca di non farsi trascinare in un mare di efferatezza e di scegliere di costruire il suo opposto con una donna sembra però meno potente del solito. Coadiuvato da due interpreti decisamente meno abili e virtuosi di quelli cui Audiard ci ha abituato e caratterizzati con molta meno umanità del solito, il suo ultimo film appare come il più lieve, quello che con più difficoltà riesce ad accendere un fuoco sfregando i legnetti del suo arsenale. Dall'altra parte però Dheepan involontariamente conferma cosa sia ad attirarci verso questa storia e questo stile di racconto, anche quando meno riuscito. Si tratta della continua esistenza di un rumore di fondo tetro, la netta sensazione che in ogni momento emotivo esista una sottile paura della morte, la consapevolezza che tutta la passione mostrata possa prendere la strada del sangue come quella dell'amplesso e forse non esiste differenza.
Del resto nell'inferno del palazzone grigio e indifferente in cui si svolge il film si consumano sparatorie e guerre fra bande nelle quali striscia la possibilità di tramutare una famiglia finta in famiglia vera. L'ultima possibile eredità del cuore pulsante del noir (inseguire un amore nei luoghi e nelle situazioni che rendono più difficile rimanere vivi) è forse davvero questa.
(Gabriele Niola, mymovies.it)

Una parabola della redenzione
Ora, se si crede che un film coincida semplicemente col suo soggetto, i detrattori di quello di Jacques Audiard, ossessionati dall’ideologia del politically correct, potrebbero anche avere ragione. Non è così, naturalmente. Il regista francese non mette affatto in scena un dramma sociale per poi appiccicargli un finale da cinema di genere alla Golan&Globus: porta invece la storia alle sue estreme conseguenze, evitando sia le ovvietà socio-demografiche dei film “socialmente impegnati”, sia la tirata reazionaria sui pregi della violenza autogestita. […] Non mancano neppure le scene oniriche, nel sogno ricorrente dell’ex-soldato che allude alle sue origini: un elefante, simbolo di saggezza cui l’uomo si appella inconsciamente. Soprattutto, però, Dheepan è un film raccontato benissimo; una parabola di redenzione il cui protagonista reagisce a un’aggressione che è sì fisica, ma che minaccia soprattutto il suo sogno di una vita diversa. E c’è una bella differenza tra la storia di un vigilante urbano e quella di una famiglia finta che vuol diventare vera. Vedere per giudicare.
(Roberto Nepoti, corriere.it)

scheda tecnica a cura di Mathias Balbi

 



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