Home
  • Le informazioni
  • Il Programma
  • Scriveteci

 


Scheda critica del film:

  

Le cose che verranno

(L'avenir)

La Regista
Ambiziosa e audace. La sua notevole coerenza tematica e stilistica arriva a superare spesso il concetto di rappresentazione a favore di uno sguardo neutro ed essenziale. La matrice autobiografica della sua trilogia dietro la mdp è la personale scommessa di trasformare la realtà vissuta e renderla cinematografica, dimostrandosi ripetutamente capace di raccogliere il plauso della critica.
Classe 1981 (Parigi, 5 Febbraio). Il cinema entra nella sua vita a soli diciotto anni, esordendo come interprete nelle pellicole di Olivier Assayas Fin août, début septembre (1998) e Les destinées sentimentales (2000). Il loro sodalizio artistico si accompagnerà ben presto ad un legame duraturo nella vita fuori dal set. Nel 2001 inizia a studiare presso il Conservatoire d'art dramatique di Parigi che abbandonerà dopo due anni per collaborare con l'autorevole "Les Cahiers du Cinéma". A soli 22 anni debutta dietro la macchina da presa con il cortometraggio Après mûre réflexion presentato al Festival di Locarno. Segue nel 2006 il suo primo lungometraggio, Tout est pardonné ritratto di una famiglia logorata dalla tossicodipendenza del padre. L'opera seconda Il padre dei miei figli (che si aggiudica il Premio speciale della giuria della sezione Un Certain regard del Festival di Cannes 2009) segue le vicende di un anticonformista produttore cinematografico e dei suoi precari tentativi di destreggiarsi tra lavoro e vita familiare, fino alla bancarotta della sua società di produzione e la conseguente decisione di togliersi la vita, lasciando moglie e figlie alle prese con la sua eredità materiale e spirituale. L'ispirazione alla base del film è la figura del produttore francese Humbert Balsan (che finanziò il primo film della Hansen.
Nel 2012 la cineasta torna nelle sale con Un amore di gioventù, una storia comune ma allo stesso tempo unica e travolgente, un cambiamento, un percorso di crescita: la fine del primo amore, vissuto attraverso lo sguardo di una moderna eroina, la straordinaria Lola Créton. Dopo Eden (2014), sulla diffusione della musica house in Francia e sul suo impatto sulla società, nel 2016 dirige Isabelle Huppert ne Le cose che verranno - L'avenir.

Jean Jacques Rousseau -La Nouvelle Heloise
”Finchè si desidera si può fare a meno di essere felici: perchè si aspetta di esserlo. Se la felicità non arriva, la speranza si prolunga, e l’ incanto dell’ illusione dura quanto la passione che lo provoca.
Così, questo stato, è sufficiente a se stesso. E l’ inquietudine che esso procura è una specie di godimento che supplisce alla realtà. E forse è migliore.Guai a chi non desidera più niente. Perde, per così dire, tutto quanto possiede. Si gode meno di ciò che si ottiene che di ciò che si spera. Non si è felici che prima di essere felici”.

Da: Conversazione con Mia Hansen-Love
Le Cose che Verranno -L’ Avenir è il ritratto di una donna che insegna e ama profondamente il suo lavoro. Lei esplora un tema che viene poco utilizzato nel cinema: quello del pensiero.
Il destino di Nathalie e la sua forze di fronte alla rottura, è indissociabile dal suo rapporto con le idee, il loro insegnamento e la loro trasmissione. Non potevo avvicinarmi a ciò in modo aneddottico. Inoltre, ciò che ha reso ancora più forte il mio desiderio di filmare una professeressa di filosofia che è assorbita dal suo lavoro, è la mancanza di libertà del cinema nel rappresentare gli intellettuali o i processi contradditori del pensiero. Ci sono pochi film dove apprendiamo quali giornali leggono i personaggi, a quali idee sono legati, i dibattiti politici che li animano. Ho sempre cercato di inserire i miei personaggi nel mondo ma Le Cose che verranno- l’Avenir è stata per me l’ occasione di assumere pienamente la relazione con i libri, con il pensiero. E non si può ridurre ciò alla descrizione di un ambiente sociale. Si tratta anche di una forma di precisione che si può vedere come documentaristica ma anche come poetica: è toccante, per me, ascoltare il nome dei luoghi che attraversano i personaggi, cosi come quelli delle riviste che leggono o delle canzoni che ascoltano. L’ossessione di Patrick Modiano per i nomi, i luoghi, le date, come dei punti fissi cui riferirsi, è un aspetto della sua ispirazione con cui mi sono sempre identificata. E’ collegato al nostro bisogno di memoria, alla fragilità della vita e al desiderio di mantenerne le tracce.
(dal pressbook)

Film morbido e raffinato
Conte philosophique dagli echi rohmeriani, Le cose che verranno – L’avenir non ha però l’intellettualismo radicale di, per fare un esempio, Il ginocchio di Claire, preferendo solcare con leggerezza il territorio del dubbio e del pensiero. Questa leggiadria è sicuramente il maggior pregio di un film morbido e raffinato come un pull di cachemire, e di cui Isabelle Huppert è l’epitome. Allo stesso tempo, però, proprio Huppert, ormai giunta a una fisicità scarnificata, quasi incorporea, rappresenta anche la faccia inquietante dell’umanità ritratta dal film, un’umanità malata di efficienza e di astrazione, il cui territorio emotivo sembra subire di giorno in giorno un processo di essiccamento che permette a ogni ferita di non incidere mai nel profondo e a ogni dolore di non perdurare mai troppo a lungo (certo, alla morte di un genitore – qui interpretato dall’iconica Edith Scob – qualche lacrima si versa e a un divorzio non si resta impermeabili ma la vita continua e ai cambiamenti ci si adatta, flessibili come si deve al giorno d’oggi).
Come la Héloïse di Rousseau, a cui durante una lezione scolastica la stessa protagonista fa riferimento, Huppert interpreta un personaggio di donna che trova più soddisfazione nelle avventure dell’intelletto che in quelle della carne. È anche da ciò che deriva la sua indipendenza e la capacità di reggersi sulle sue gambe (pur esilissime) senza bisogno di ancorarsi a un uomo per dare un senso e una direzione alla propria esistenza. Questo, insieme al fatto che si tratta di un personaggio femminile di mezza età, categoria poco rappresentata al cinema, è un obiettivo centrato e non trascurabile.
(Silvia Nugara, cultframe)

Film di sceneggiatura
Dopo aver raccontato dei giovan(issim)i in Un amore di gioventù (2011) e Eden (2014), Mia Hansen-Løve mette al centro della storia una persona di età molto diversa, confermando però la sua capacità di raffinata psicologa della natura umana.
Nathalie è una donna molto colta, ma incapace di traslare il suo sapere umanistico nella vita di tutti i giorni: fatica ad applicare le sue conoscenze teoriche alla realtà e deve piegarsi alla logica sfuggente dei sentimenti. Il futuro, forse, è l’unica speranza, se mancano le certezze di un presente che fatica a controllare.
È un film più di sceneggiatura che di regia, in cui la parola domina sull’immagine: niente di male, anzi, se non fosse che in diversi passaggi manca una certa spontaneità e non ci sono grandi guizzi narrativi da segnalare.
Al termine della visione rimangono diversi spunti su cui riflettere, alcuni dialoghi colpiscono nel segno, ma il ritmo è un po’ altalenante e varie sequenze poco incisive.
L’essenzialità della messinscena esalta comunque diverse prove attoriali: non solo un’ottima Isabelle Huppert, che si conferma in formissima, ma anche il cast di contorno, in cui svetta Edith Scob nel ruolo
(Andrea Chimento, cinematografo.it)

scheda tecnica a cura di Paolo Filauro

 



© 2017 2018 Cineforum Genovese