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Scheda critica del film:

  

Civiltà perduta

(The Lost City of Z)

Il  Regista
James Gray, nato a New York nel 1969, è cresciuto nel Queens e ha frequentato la USC School of Cinema-Television.
Ha debuttato nel 1994 a 25 anni con Little Odessa, un film di grande successo che ha ricevuto il Critics Award al Festival di Deauville e il Leone d'Argento al Festival di Venezia. Nel 2000 Gray ha scritto e diretto The Yards, il suo secondo lungometraggio e il suo primo film con Joaquin Phoenix, che continuerà a recitare nei suoi prossimi tre film. Il film drammatico è stato presentato in concorso al Festival di Cannes nel 2000.
Il film thriller I padroni della notte (2007) è interpretato Mark Wahlberg, Joaquin Phoenix, Eva Mendes e Robert Duvall. Il film ha ricevuto una candidatura ai César per il miglior film straniero ed è stato presentato in concorso al Festival di Cannes 2007. La sua quarta opera, Two Lovers (2008), ha ricevuto le nomination agli Independent Spirit Awards per la miglior regia e miglior protagonista femminile. Nel film recitano Joaquin Phoenix al fianco di Gwyneth Paltrow, Vanessa Shaw e Isabella Rossellini. Il film è stato presentato in concorso al Festival del Cinema di Cannes 2008 e ha ricevuto una nomination ai César per il miglior film straniero.
Del 2013 è The Immigrant (C'era una volta a New York), presentato al Festival di Cannes.

NOTE DI REGIA (dal pressbook)
Mentre Civiltà Perduta percorreva il suo lungo e arduo cammino verso il grande schermo, il film è diventato qualcosa di simile a un'ossessione per me – suppongo proprio per il suo tema. Le preoccupazioni di Percy Fawcett nei confronti dell'Amazzonia e le sue popolazioni sono state motivate da molti fattori, e la sua storia è caratterizzata da incredibili colpi di scena e risvolti. Ma quando io ho letto il libro di David Grann, c'è stato un aspetto che mi ha colpito in particolare: quella era la storia di una persona per la quale la ricerca significava tutto. Il suo sogno di trovare un'antica civiltà amazzonica gli ha permesso di attraversare difficoltà inimmaginabili, superare lo scetticismo della comunità scientifica, tradimenti di ogni tipo e anche gli anni trascorsi lontano dalla sua famiglia.
Il film tocca anche il tema delle classi sociali, nonché la difficoltà che alcuni individui hanno nell'adattarsi comodamente alla società. Inoltre ero affascinato dalle lotte interne di Fawcett. Allo stesso tempo si trova a scontrarsi con la comunità scientifica e i militari britannici, ma è anche un uomo in guerra con se stesso: ambizioso ufficiale dell'esercito, inasprito per una ragione apparentemente oscura; un uomo di famiglia e un patriota devoto che diventa un esploratore inquieto; un soldato preciso e pragmatico che ha una fede quasi spirituale nell'esistenza di Z. Come spesso accade nei miei film, Civiltà Perduta esamina la dinamica della famiglia. Ero particolarmente attratto dal legame infrangibile tra Percy e la sua fedele moglie Nina, così come quel rapporto complesso tra Percy e il suo figlio maggiore Jack, che da bambino risente molto dell'assenza di suo padre, ma poi si unisce a lui in quella che risulta essere la sua spedizione finale.
Infine c'è la relazione tra Percy e la giungla stessa, che diventa un personaggio centrale nel film. Abbiamo girato le scene dell'Amazzonia nella foresta pluviale colombiana. E sebbene le avversità sopportate dal nostro cast e dalla troupe non erano nulla rispetto alle privazioni subite da Fawcett e i suoi uomini, abbiamo comunque dovuto affrontare la nostra buona parte di difficoltà - dai serpenti agli attacchi di febbre tropicale. Io, nato e cresciuto a New York, non potevo essere più lontano dal mio elemento naturale come in quel luogo. Abbiamo scelto di girare il film su pellicola da 35 mm (cosa che ho fatto per tutti i miei film finora), ma ciò si è rivelato particolarmente impegnativo nel bel mezzo della giungla.
Per me, il tema più universale e senza tempo che attraversa Civiltà Perduta è che, come dice Fawcett nel film, "Siamo fatti tutti della stessa pasta".
James Gray, sceneggiatore e regista

Nel film assume una rilevante importanza narrativa il continuo movimento di andata e ritorno del protagonista fra la giungla e l'occidente, fra la dimensione sconosciuta vissuta come spazio di ricerca ossessiva e la meschina realtà della rigida, conformista e classista società del Regno Unito. È un Occidente che Gray mostra in una luce critica, aprendo una parentesi significativa sull'assurda carneficina della Prima guerra mondiale (dove Fawcett partecipa, dopo la spedizione del 1912, combattendo nella battaglia della Somme, una delle più sanguinose), che è raffigurata come un folle inferno mentre la figura del potente James Murray (che accompagna l'esploratore nella seconda spedizione) addensa in sé i caratteri del razzismo, del colonialismo e infine anche del tradimento.
La scrittura di Gray aderisce al classicismo di un racconto di avventure e d'iniziazione ma ne azzera tutti i cliché, tutti gli effetti, ogni epicità e magniloquenza: gli assalti degli indigeni e le minacce dei piranha sono circoscritti alle scene del primo viaggio, poi dileguano e prevale la dimensione spirituale, contemplativa. È la luce di un magistrale direttore della fotografia come Darius Khondji a suggerire la profonda, ipnotica suggestione che il dominio di una natura assoluta e selvaggia esercita nell'interiorità di un uomo come Fawcett.
L'utopia di Fawcett svanisce in un'incompiutezza che annulla in se stessa sia lo scopo della sua ossessione (la città non sarà mai trovata così come le prove effettive della sua esistenza), sia gli eroi stessi dell'impresa, padre e figlio scomparsi senza che si sia mai conosciuta la loro sorte. È questa pagina definitivamente bianca che Gray vede come l'immagine stessa della morte: un non essere dove si smarrisce qualsiasi definizione e qualsiasi contorno.
(Roberto Chiesi, Cineforum)

Il film si ispira alla vera storia di Percy Fawcett, un militare inglese dei primi del ‘900 che durante un’esplorazione nella giungla amazzonica per la Società Geografica di Sua Maestà scopre la possibilità che in quei luoghi selvaggi si nascondano le vestigia di civiltà evolute e perse di immensi tesori. La passione archeologica e l’ipotesi della ricchezza diventeranno per lui un’ossessione totalizzante. Partendo da Z – La città perduta di David Grann, Gray (anche sceneggiatore) realizza un film d’avventure e dramma esistenziale come fosse un kolossal degli anni ’70, un film produttivamente impossibile nell’industria attuale – alto costo e impianto da film d’autore, senza franchise o poderosi effetti speciali dietro, girato in 35mm e quasi consapevole di un possibile fallimento produttivo tanto da vivere una travagliata esperienza produttiva – eppure anch’esso figlio del piglio quasi ossessivo del suo autore.
E proprio su questi elementi potenzialmente disastrosi, Civiltà perduta fonda la sua bellezza: Gray realizza un film che attraverso un’inusuale potenza visiva racconta una saga – e si sente che la produzione è intervenuta per ridurre il minutaggio a 140’ -, un’epica oscura che parte dalla testa del protagonista (sorprendente Charlie Hunnam) e si allarga al suo rapporto con la famiglia e chi lo circonda, che abbraccia la famiglia, gli amici e in ultimo la Storia per chiudere con gli ultimi 20 magnifici minuti in cui la visionarietà che cova dietro le spire del film si libera e riempie lo schermo.
Emanuele Rauco, cinematografo

scheda tecnica a cura di Paolo Filauro

 



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