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Scheda critica del film:

  

Heaven's Gate

(I cancelli del cielo)

Tutta l’energia che ho speso per Heaven’s Gate aveva un solo fine:
portare sullo schermo, con le migliori immagini e i migliori suoni possibili,
l’America della fine dell’Ottocento, cercando di raggiungere
il maggior grado di veridicità.

Michael Cimino

Il Regista

Cimino nasce a New York nel 1939 da una famiglia borghese di origini italiane. Sin da giovanissimo si dedica agli studi di architetturapitturamusica e letteratura.
Nel 1971 Cimino si trasferisce a Hollywood entrando nel mondo del cinema dapprima come co-sceneggiatore di film come 2002: la seconda odissea e Una 44 Magnum per l'ispettore Callaghan. Nel 1974, sempre grazie a Clint Eastwood e alla partecipazione di un giovane Jeff Bridges, debutta come regista con Una calibro 20 per lo specialista che ebbe un buon successo.
Nel 1978 è con Il cacciatore, che Cimino entra prepotentemente nella storia del cinema. Il film vince 5 Premi Oscar, tra i quali miglior film e miglior regia, innalzando Cimino come regista di grande prestigio. Considerato uno dei massimi capolavori del cinema mondiale.
Nel 1979 il film I cancelli del cielo segna l'inizio di un apparente declino per la carriera di Cimino. I cancelli del cielo si rivela un flop di pubblico e riceve molte critiche negative, arrestando in parte la carriera del regista. Quello che doveva essere un potente affresco di un'epoca si rivelò un fallimento. Un'opera incompiuta, imperfetta, che comunque mantiene, nonostante gli squilibri e gli eccessi, una carica emozionale altissima, e con il passare del tempo è diventata un cult.
Negli anni ottanta il regista riesce a realizzare tra molte difficoltà solo tre film: L'anno del dragone, splendido affresco sulla mala cinese, adattato dal regista con Oliver Stone e con Mickey Rourke protagonista. . Gli altri film diretti da Michael Cimino sono Il siciliano, sulla vita del bandito Salvatore Giuliano e Ore disperate.
Nel 1996 Cimino ritorna per l'ultima volta dietro la cinepresa e gira Verso il sole, film che ha come protagonista Woody Harrelson: un lavoro strano che all'apparenza può essere visto come un film di strada e di inseguimento, una sorta di road-movie, ma in realtà è un viaggio profondo, tragico, verso quelle radici dell'America spesso dimenticate e tanto care al regista.
Nel 2015, al Festival di Locarno, gli viene assegnato il Pardo d'onore. Cimino ha affiancato ai numerosi progetti cinematografici l'attività di romanziere. Ha scritto tre libri, il più recente dei quali, Big Jane, è stato pubblicato anche in Italia.
Cimino è morto nella sua casa di Beverly Hills il 2 luglio 2016, a 77 anni.

È il canto del cigno della New Hollywood quest'opera folgorante e imprendibile che Michael Cimino scrive, produce e dirige dopo la consacrazione quasi unanime di Il cacciatore.  I cancelli del cielo è tanto il kolossal d'autore per eccellenza quanto il titolo che ha messo fine al desiderio del controllo totale restando, tuttavia, uno degli esempi più alti di quel cinema assoluto che è dato assumere per pochi, rari squarci e in sempre più sparuti casi. In breve, si tratta del luogo ideale in cui perdersi, da visitare e visitare ancora, nella consapevolezza di non poterlo conoscere fino in fondo, della connessione disequilibrata e genialmente imperfetta tra la grande tradizione americana e l'angosciosa cognizione contemporanea. È ancora un film di immigrati I cancelli del cielo come lo era Il cacciatore, una riflessione sul fallimento del sogno, reale e metaforico, non solo americano, una storia di disillusione e dolore in cui si agitano i fantasmi di un'umanità che sperimenta soltanto l'odio e la sopraffazione, dove anche l'amore non ha modo di librarsi al di sopra della violenza, del fango e del sangue. Il terzo lungometraggio di Cimino ha segnato un'epoca non solo per il clamoroso flop che portò sulla bancarotta la United Artists, anche se spesse volte si finisce col parlare soltanto di questo, ma soprattutto per il coraggio di una sontuosità mai più sperimentata sul grande schermo fino all'entrata a regime del cinema dei computer. A dispetto della sua matericità, nelle immagini strepitose di Vilmos Zsigmond si sentono le vibrazioni reali della polvere, dell'umidità, del sole, della neve sulle montagne, è un'opera che lascia a tutt'oggi - nonostante la versione di 216 minuti approvata dallo stesso Cimino - uno strano senso di insoddisfazione ad ogni visione, quasi di incompiutezza, come se l'unica veste possibile in cui goderlo possa essere soltanto quella ancora da venire (il rough cut era di 325 minuti, portati poi a 149 per la disastrosa uscita nelle sale).
Maestosamente geniale e rovinosamente anti-commerciale nella sua fluvialità, I cancelli del cielo è la pietra tombale sull'utopia della New Hollywood, un contenitore di qualsiasi cosa, di qualsiasi genere anche, partendo ovviamente da quello su cui è fondata la stessa nascita della nazione americana. Le sequenze di ballo, anch'esse dicotomiche, si pensi alla composta girandola delle coppie nel giardino di Harvard nel 1870 fino a quelle degli immigrati all'interno dell'Heaven's Gate vent'anni dopo, suggeriscono un approccio di visione. L'unico da seguire, forse. Quello di una danza di morte, fastosa e terribile, che segna, proprio con la guerra della Contea di Johnson messa in scena, la fine del mito della frontiera e il passaggio dal west al western. Strano paradosso: di fatto inferiore a Il cacciatoreI cancelli del cielo è il capolavoro del regista.
Marco Chiani MyMovies


Heaven’s Gate doveva contenere, semplicemente, tutto. Il cielo e la polvere, la ninfa e lo straccio, la memoria e l’oblio, il deserto e il giardino, la frontiera e la civilizzazione, il treno e il cavallo, Harvard e il west, il capitalista e l’immigrato, l’individuo e la folla, il ballo e la guerra, la violenza e l’amore, la lealtà e l’infamia, la puttana e la borghese; e poi Ford e Visconti, Griffith e Ėjzenštejn, Via col Vento e I sette Samurai, la rivoluzione e la restaurazione, la nostalgia del mito e l’amicizia virile; e poi ancora la recitazione regale di Walken nel selvaggio-Nate e la rudezza recitativa di Kristofferson nel borghese-Averill, la fotografia-dipinto di Zsigmond e i valzer-melodici di Mansfield, la magniloquenza di ogni set e il dettaglio artigianale  di ogni oggetto. In ogni inquadratura Cimino vuole fondere tutta la (sua) vita e tutta la (nostra) Storia, in una poderosa fuga di significanti che proceda sempre per granitiche dicotomie concettuali trascese però in singole inquadrature pregne di tempo che puntualmente fanno esplodere il cinema nei nostri occhi affabulati. Cimino è spaventosamente lucido nelle sue analisi socio/politiche – riguardiamo oggi, proprio oggi, questo film – e nelle sue prese di posizioni estetiche – un classicismo cristallino nella forma a cui manca però il tempo del racconto classico, che si dilata e si sfarina come la vita, in un ibrido folgorante che procede per moderni disaccordi –, ma Cimino è altrettanto fragile e ingenuo nel credere che il mondo intorno a lui bramasse quella lucidità, quella sete di grandezza e quella cieca fiducia nel dio cinema. Un autore immensamente romantico e spaccone che gira il suo colpo solo e si ritrova dannato insieme a Nate e Averill, caduto all’inferno, dimenticato, ma capace di rinascere come un fantasma luminoso in ogni grande film americano degli ultimi 30 anni.
 Heaven’s Gate è l’immagine-in-divenire che non finirà mai di significare, il più grande film mai pensato, il più grande film mai compiuto. Cimino balla. Come nella sequenza della danza borghese a Harvard, con le rotonde geometrie viscontiane rotte già dalla furia e dal sangue del West. Cimino balla. Come nella meravigliosa e speculare sequenza della festa proletaria, dove il moderno uno della folla anarchica si ricondensa nel classico due dell’amore. Cimino balla. Tra il campo lunghissimo del Mito fordiano e il dettaglio sublime di ogni gesto hawksiano. Cimino balla. Tra il cinema-utopia di un’intera generazione e il cinema-ferito dalla sua stessa ambizione. Cimino balla, e balla ancora… sui cancelli del cielo di ogni nuova visione.
Pietro Masciullo Sentieri selvaggi

Lunghissimo, spettacolare e intimista allo stesso tempo, dotato di un afflato epico che lascia senza parole, I cancelli del cielo prende il Sogno Americano e lo rivolta come un calzino per mostrarci la brutale realtà dietro gli slogan. Un'America squallida e razzista, in cui un gruppo di ricchi proprietari terrieri si arma per eliminare sistematicamente gli immigrati dell'Est Europa che minacciano di porre fine alla loro egemonia. Solo un uomo (Kris Kristofferson) si oppone a questa ingiustizia, ma da buon eroe del western la sua crociata solitaria è destinata a concludersi con amarezza.
Il cast è qualcosa di impressionante: Kristofferson, Jeff Bridges, Christopher Walken, Isabelle Huppert, John Hurt, Brad Dourif, Joseph Cotten, Terry O'Quinn e persino un giovanissimo Mickey Rourke. Tutti impiegati in ruoli più o meno importanti, tutti al meglio delle loro capacità. Rivisto oggi, I cancelli del cielo non ha perso un'oncia del suo fascino: tre ore e mezza che passano senza fatica e vi lasceranno fisicamente e mentalmente stremati, ma in lacrime davanti a tanta magniloquenza. Cose come queste il cinema americano non le tenta più e, ironia della sorte, un po' è colpa anche de I cancelli del cielo.
Marco Triolo Film.it

Il restauro (dal pressbook)
Heaven’s Gate viene presentato con l’aspect ratio di 2.40:1, approvata dallo stesso regista, e che prevede in proiezione delle bande nere nella parte superiore e inferiore dello schermo. Poiché il negativo originale del film era stato tagliato di 149’ nel 1981 in fase di distribuzione, questo elemento non è stato utile alla ricostruzione della versione voluta da Cimino, lunga invece 216’.
Fortunatamente la versione integrale è stata preservata in tre master colore 35mm separati (giallo, ciano e magenta), elementi di sicurezza in grado di riprodurre precisamente il colore su un negativo.
Il nuovo intermediato digitale, supervisionato dallo stesso Michael Cimino, è stato realizzato presso la Colorworks di Culver City in California, prima scansionando con Scanity alla risoluzione di 2K ciascun elemento e poi ricombinando digitalmente le scansioni tra loro per ottenere il colore del
negativo originale. In aggiunta sono stati apportati piccoli tagli e modifiche ad alcune scene e rimossi gli intervalli, in modo da permettere al regista di recuperare la versione corrispondente alla sua volontà originale. Polvere, sporco, righe, giunte, deformazioni, sono stati rimossi manualmente assieme a instabilità e flickering usando i software MTI, PF Clean e Phoenix,
quest’ultimo utilizzato anche per ritoccare la grana. Una nuova traccia sorround 5.1 è stata rimasterizzata e restaurata a 24bit a partire da un colonna magnetica a sei tracce, sotto la diretta supervisione di Cimino, con l’intento di migliorare la chiarezza dei dialoghi.

scheda tecnica a cura di Alessandro Sbrana

 



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