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Scheda critica del film:

  

L'Atalante

 

Il Regista

Figlio dell'anarchico Eugène Bonaventure de Vigo, il direttore del giornale Le Bonnet Rouge, relativamente influente, il quale si firmava Miguel Almereyda (il cognome è anagramma di Y a la merde), nasce a Parigi il 26 Aoruke 1905. Nel 1914 suo padre viene arrestato e chiuso nella prigione di Fresnes. Verrà trovato morto, strangolato dai lacci delle sue scarpe.
Negli anni della scuola passa da un liceo all'altro, senza riuscire a socializzare con i compagni di scuola.
Nel sanatorio di Fonte-Romeu-Odeillo-Via, dove si ricovera nel 1926 per curare la tubercolosi di cui soffre, incontra la polacca Elisabeth "Lydou" Lozinska (1907-1939), figlia di un industriale ebreo, se ne innamora e la sposa il 24 gennaio 1929. Nel 1931 nasce Luce, loro unica figlia.
Nel 1929 realizza À propos de Nice, un film muto di 25 minuti che esamina le disuguaglianze sociali nella Nizza degli anni 1920. Nel 1931 gira Taris, roi de l'eau, un elegante documentario di 11 minuti sul campione di nuoto Jean Taris, tra le prime opere con riprese subacquee.
Nel 1933 gira Zéro de conduite, film di soli 47 minuti che rappresenta una ribellione scolastica:
quattro collegiali puniti per cattiva condotta si rivoltano contro le autorità scolastiche attaccandole con colpi di cuscino e sberleffi, fino a fuggire per i tetti del collegio verso un immaginario mondo di libertà.
Infine nel 1934 realizza L'Atalante, lungometraggio che la tubercolosi (peggiorata anche dalla lavorazione del film ambientato sui canali della Francia settentrionale) non gli consentirà di finire. Si tratta di una delle storie d'amore più amate dagli appassionati e dagli studiosi di cinema.
Jean Vigo muore a Parigi a 29 anni il 5 Ottobre 1034 e viene sepolto nel cimitero parigino di Bagneux.

Con pochissimi film, questo poeta delle immagini, quasi consumatosi e immolatosi all'urgenza e alla fatica di una creatività prorompente, ha lasciato una lezione di cinema che non ha perso con il tempo la sua forza trasgressiva. Ariosità lirica, febbre anarchica, tenerezza disperata percorrono i suoi film, poetici, densi di gioia come di dolore e di un senso della bellezza presaga di caducità, eppure vitali nella loro tensione limpida e pura. La vita breve, la salute malferma, la lotta per difendere una concezione del cinema come luogo della libertà visionaria hanno amplificato il sentimento tragico racchiuso in un'opera divenuta leggenda dopo la sua prematura fine.

Spremuti e premuti da 35 anni di visioni e da pochi secondi di infinita e sfinita memoria, dieci film. Proiettati in un futuro anche solo di un attimo, come forse sempre dovremmo immaginarcelo, se ancora fossimo capaci di amare. L’Atalante di Vigo, allora, perché sublima proprio la lotta del cinema contro la morte dentro la morte, riinventando la sosvrimpressione come atto d’amore tra immagini. E perché la lieta fine non è lieta e non è fine, la follia dell’amore coniugale vista dall’alto come solo il cinema o un dio…
(Enrico Ghezzi, Cento film in dieci minuti, “il manifesto”, 21 giugno 1994)

Ritengo che spesso si sottovaluti L‘Atalante vedendovi un piccolo tema, un tema ‘particolare’ in opposizione al grande tema ‘generale’ trattato in Zéro de conduite.
L’Atalante affronta in realtà un grande tema, raramente trattato dal cinema, l’esordio nella vita di una giovane coppia, le difficoltà di adattarsi l’uno all’altra, con all’inizio l’euforia dell’accoppiamento (ciò che Maupassant chiama “il brutale appetito fisico ben presto spento”), poi i primi scontri, la rivolta, la fuga, la riconciliazione, e finalmente l’accettazione dell’uno da parte dell’altra.
(François Truffaut, I film della mia vita, Marsilio, Venezia 2003)

“È uno stile palpitante. Alla base c’è un senso del realismo documentario che rende la chiatta una vera chiatta, così precisa nella sua topografia, che vi ci potremmo orientare a occhi chiusi in una notte di vento. E questo è importante sia per una chiatta fluviale sia per un battello, ed è quanto i film sul mare non hanno mai capito”
(John Grierson, “Cinema Quarterly”, n. 5, autunno 1934)

Mantenendo in apparenza intatto il filo conduttore della vicenda, Vigo ha trasformato radicalmente il senso del soggetto di Guinée, costruendo una storia che si regge sul bilanciamento della seduzione e dell’amore coniugale, e su una rara fusione tra la vita quotidiana, il lavoro e l’amore. Il gusto, l’esperienza e la sensibilità di Vigo si avvertono soprattutto nel tratteggio dei personaggi, nella manipolazione creativa dei corpi e dei luoghi, nel modo di riplasmare sotto l'intervento della macchina da presa i rapporti che legano gli uni agli altri. Rapporti delicati che si modificano impercettibilmente, giorno dopo giorno, durante lo scorrere lento della barca sui canali, durante l’alternanza di occupazioni giornaliere e pause della intimità, durante le tensioni tra l’amore e la curiosità per la vita immaginata in tutti i suoi aspetti. È così che prende corpo una visione complessa dell’amore e del piacere, il senso fisico della vita e del lavoro, la seduzione in tutti suoi aspetti e il richiamo alla saldezza delle scelte compiute.
(Maurizio Grande, Jean Vigo, La Nuova Italia, Firenze 1979)

Almeno per una fetta cinefila italiana, quella dura e pura, intraprendente e nottambula, oppure collezionista di vecchie vhs che strabordano nei propri scantinati fino a soffocarli dolcemente, la celeberrima sequenza subacquea del film è, per forza di cose, quella più vista di tutta la storia del cinema. Chi si approccia a questa microvisione - di colossale spessore - raccoglie la porzione surrealista del film che, fuori dal contesto dell'opera, si fa straniante: ci si tuffa inconsapevolmente in queste acque nemmeno tanto splendenti ma, al contrario, fin sporche, e in questo azzurro-bianco/nero-grigio l'inconsapevolezza approda al sorriso della sposa finanche inquietante, in un volto, quello di Dita Parlo, che sembra di porcellana, che ci invita ad una visione in effetti più variegata e complessa di quella che una singola sequenza può suggerire. Eppure quella scena contiene già tutta l'inafferrabilità della materia. Quella apparente semplicità (almeno della sceneggiatura) che conserva una magia che al contempo regna le nostre giornate, ma le trascende perché riesce a catturare una purezza di sguardo invisibile ai nostri stanchi occhi.
(Diego Capuano, Ondacinema)

Dominato da uno stile che non ha eguali, e che a ottantatré anni di distanza rivendica il proprio ruolo di primaria importanza nella storia del cinema, L’Atalante è un gesto estetico e umano perfetto, e come ogni cosa perfetta, sa essere ribelle anche a sé, smentirsi, muoversi tra le acque limacciose con maestosa imponenza, e allo stesso tempo danzare fragile e liberissimo, evocativo e struggente.
(Raffaele Meale, Quinlan)

scheda tecnica a cura di Paolo Filauro

 



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