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Scheda critica del film:

  

Arrival

 

Il Regista

Denis Villeneuve nasce nel 1967 nel Quebec (ex Canada francese) e fin dagli esordi ottiene numerosi premi e riconoscimenti in patria e all’estero divenendo da subito un protagonista dei Festival internazionali. Il suo esordio avviene con un cortometraggio (REW FFWD) girato in Giamaica su incarico dell’Agenzia Canadese per lo sviluppo internazionale, mentre è nel 1997 quello nei grandi Festival cinematografici europei: Cannes (sezione Quinzaine des Réalisateurs) con il film collettivo Cosmos. L’anno successivo a Cannes partecipa con il suo primo lungometraggio Un 32 août sur terre presentato nella sezione ‘Un certain Regard’: da quel momento premi e/o candidature agli Oscar o ad analoghi riconoscimenti quasi a ogni opera. Il debutto al Festival di Venezia avviene nel 2010 nelle ‘Giornate degli Autori’ con Incendies (La donna che canta) film in cui per la prima volta si affida a un testo preesistente. Nel 2013 vince il ‘Leone Nero’ per il miglior film al ‘Courmayeur Noir in Festival’ con L’uomo duplicato. E nel 2016 è a Venezia con Arrival con cui ha vinto il ‘Premio Arca cinema giovani’ per i film in concorso e il ‘Premio Future Film Festival’ e ha ottenuto ben otto candidature agli Oscar tra cui miglior regista e miglior film, vincendo quello per il miglior montaggio. Il 2017 è l’annodi Blade Runner 2049, sequel del famoso film di Ridley Scott. Villeneuve - come già avvenuto con Arrival - ha realizzato un’opera originale, ricca di sequenze che diverranno cult a conferma della sua abilità a trattare con originalità qualsiasi genere cinematografico e della scelta di porre al centro delle proprie opere l’essere umano con i suoi sentimenti e filosofia di vita e non la tecnologia con le relative scoperte e invenzioni, forse perfette ma certamente prive di umanità. I suoi film pur rappresentando sempre una realtà umana lasciano nello spettatore la sensazione che le loro finalità e prospettiva siano più grandi e profonde.

Commento

Villeneuve si è ispirato per questo suo primo film dichiaratamente fantascientifico alla raccolta (pubblicata in Italia nel 2016 da Frassinelli con il titolo Storie della tua vita) dei primi otto racconti di Ted Chiang, noto scrittore di fantascienza considerato un fenomeno nel mondo letterario essendo riuscito a vincere moltissimi premi e a ottenere un grande successo di pubblico - probabilmente per la capacità di creare personaggi indimenticabili e testi ricchi di idee non banali che coinvolgono e affascinano il lettore - senza aver scritto un romanzo. E quale idea è più intrigante e fascinosa del tentare di scoprire i meccanismi di un linguaggio sconosciuto per comunicare con i suoi portatori? Al centro di Arrival è il rapporto tra l’uomo e il recupero della funzione primaria del linguaggio: comunicare per comprendersi. Inutile quindi attendersi in Arrival gli alieni che invadono la Terra, i viaggi nel cosmo infinito, le guerre stellari… Villeneuve ha realizzato un’opera del tutto originale, senza modelli cui ispirarsi se non il grande cinema (non solo di genere) in cui tecnologia e azione cedono in qualche misura il passo alla filosofia e alla poesia. È inutile cercare gli alieni in una delle forme strane, più o meno umanoidi, cui siamo abituati a vederli sugli schermi, anzi si intravedono solo in modo volutamente sfocato attraverso la grande parete trasparente che separa il cuore dell’astronave dall’area in cui possono arrivare gli uomini. Sappiamo solo che hanno sette arti (per cui sono definiti eptapodi) e che scrivono contemporaneamente con due ‘mani’ l’inizio e la fine della frase per cui si deduce che hanno la capacità di conoscere il futuro. Cuore di Arrival è Louise (una straordinaria Amy Adams dal magnifico sguardo in cui s’incontrano passato, presente e futuro) che per entrare in contatto con loro e capirli dovrà abbandonare il tradizionale modo di pensare. Dovrà, infatti, rinunciare - anche per l’esiguità del tempo a disposizione - alla comunicazione basata sul linguaggio parlato e cercare di comunicare attraverso la loro lingua scritta basata su frasi tracciate in modo circolare e con possibilità bidirezionale di lettura: quindi una forma di ortografia non lineare che permette di sintetizzare in un solo simbolo un concetto più ampio e complesso della parola. Il percorso di Louise non è un’invenzione filmica, ma si basa su una teoria (ovviamente espressa in modo estremamente semplificato) chiamata dai linguisti ‘ipotesi Sapir-Whorf’ secondo la quale la lingua che si usa è in grado di influenzare i pensieri ‘riprogrammando’ il cervello. Louise progredendo nella sperimentazione e nell’apprendimento della lingua degli alieni recepisce anche la loro diversa concezione del tempo (non più unidimensionale, ma circolare per cui vi è contemporaneità nella conoscenza di passato, presente e futuro) e si trova a vedere dei flash che riguardano la sua vita, anche privata. Con Arrival Villeneuve ha realizzato un’opera che come Odissea nello spazio di Kubrik, Incontri ravvicinati del terzo tipo di Spielberg o Interstellar di Nolan resterà nella storia del cinema e non solo di fantascienza in cui forse ha aperto un nuovo capitolo: non solo parlare attraverso gli alieni della nostra umanità, ma indicare che i veri alieni siamo noi che non riusciamo con i nostri mille linguaggi a comunicare e a capirci né a collaborare (spesso anche nel pericolo) superando la nostra egoistica incapacità di fidarci, la presunzione di essere sempre nel giusto e la voglia di primeggiare comunque.

Alcuni giudizi


"la lingua è il motore di un poema spazio-temporale che non impiega le sue straordinarie tecniche per considerazioni metafisiche ma disegna (letteralmente e più dimessamente) una metafora narrativa ipnotica” (Marzia Gandolfi, MyMovies,  settembre 2016)

"un maturo dramma fantascientifico che mantiene la paura e la tensione dando al tempo stesso risonanza ai temi dell'amore e della perdita" (David Rooney, The Hollywood Reporter)

“fantascienza nella sua forma più bella e provocante" (Robbie Collin, Daily Telegraph)

“L'ultimo film di Denis Villeneuve è un grandissimo film di fantascienza, ben scritto, ben congegnato e ben realizzato. E sarebbe quasi paragonabile per potenza a ‘2001 Odissea nello Spazio’ se non fosse per i 3 minuti finali, che non vi raccontiamo, ma che rischiano di mandare tutto in vacca” (Andrea Coccia, Gennaio 2017)

“Tratto da un racconto breve, anziché il solito rumoroso film d’azione è un quieto e pregevole rompicapo, metafisico e metaforico, che in forma non lineare, punta al cuore e al cervello degli spettatori” (Marco Giovannini, Ciak gennaio 2017)

scheda tecnica a cura di Salvatore Maria Longo

 



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