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Scheda critica del film:

  

Alaska

Il Regista

Claudio Cupellini ,nasce il 18 Febbraio 1973 a Camposampiero (Padova).
Dopo aver diretto i cortometraggi Chi ci ferma più (2004) con Roberto Citran, Maurizio Donadonie Ana Caterina Morariu e La talpa (2005) con Franco Giraldi e ancora Donadoni, esordisce cinematograficamente firmando l'episodio La donna del mister nel film corale 4-4-2 (2006), firmato con Roan Johnson, Michele Carrillo e Francesco Lagi. Nel suo episodio una saffica Francesca Inaudi corteggia e seduce la compagna del suo allenatore.
Gli ultimi lavori :
Nel 2007 rimane alla commedia ma con una piccola svolta romantica: in Lezioni di cioccolato (2007) dirige Luca Argentero e Violante Placido, pasticceri innamorati l'uno dell'altra. Il soggetto è candidato al Nastro d'Argento e il film al David Giovani. Nel 2010 firma il noir Una vita tranquilla che vince il premio come miglior interpretazione maschile (a Toni Servillo) al Festival del cinema di
Roma e riceve quattro nomination ai David di Donatello 2011.
Dal 2014 lavora, insieme a Stefano Sollima e Francesca Comencini, alla realizzazione di Gomorra - La serie, trasposizione dell'omonimo romanzo di Roberto Saviano. L'anno seguente è alla regia di Alaska, presentato alla Festa del Cinema di Roma.

ALASKA E IL COSMOPOLITISMO DEL CINEMA ITALIANO
Già un film italiano che contiene brani di Blonde Redhead e Interpol, dove si parla in francese sottotitolato per la prima mezzora, e nel quale recitano facce come Roschdy Zem, mette di buon umore. Finalmente si respira un'altra aria. Un po' di quel cosmopolitismo che un tempo il nostro
cinema possedeva in larga quantità torna a circolare, da Saverio Costanzo che gira in America Hungry Hearts, alle sortite internazionali di Garrone e Sorrentino, dalla Germania di Una vita tranquilla dello stesso Cupellini all'Albania di Vergine giurata, e gli esempi potrebbero continuare. E
anche ascoltare i nostri attori recitare in francese, albanese, tedesco, inglese, spagnolo (Scamarcio in La prima luce, ambientato in larga parte in Argentina) scuote dal rischio di provincialismo la produzione del nostro paese.
(Roy Menarini,sabato 7 novembre 2015 - Focus)

Uno dei film italiani più liberi, caotici e apertamente romanzeschi dell’anno
Non muovendo un passo dallo stile di messa in scena a cui il nostro cinema ci ha abituato negli ultimi anni, Claudio Cupellini realizza uno dei film più anomali che abbiamo visto, una storia che prima di tutto è densa di eventi, che lascia e riprende per strada dei personaggi come non contassero nulla, che cambia di tono, verso e direzione molte volte. In mezzo sempre loro, Fausto e Nadine, le loro vite parallele che si incrociano e si allontanano ma non smettono di influenzarsi, dentro e fuori diverse prigioni, costretti di continuo a rivoluzionare quello che pensano del proprio futuro ma mai rivolti verso il passato (sembra un dettaglio ma è invece un elemento molto influente nel differenziare questo film dai soliti finti thriller italiani).
Non c'è nessuna probabilità nell'incredibile susseguirsi di fortune e sfortune nella vita dei due ed è una delle prese di posizione migliori, l'aperta finzionalità di una storia che non somiglia alla vita
vera ma semmai all'epica del cinema e per questo riesce così tanto a parlare del mondo che viviamo. Pur non essendo un film d'azione Alaska è lo stesso una storia di grandi eventi e clamorosi ribaltamenti, di inseguimenti forsennati e decisioni repentine. Traduce nel cinema drammatico il passo esagerato del cinema d'avventura.
A separarlo dal resto del cinema che vediamo dunque non sono solo i molti eventi ma anche la maniera inedita (per il nostro paese) con la quale sono osservati da un regista lontanissimo dai personaggi, il cui sguardo onnisciente ne segue le gesta quasi stupefatto quanto il pubblico. Non c'è nessuna adesione a loro, Cupellini sembra non essere nemmeno dalla loro parte (e del resto ne fanno di cose di cui non c'è da essere fieri). Solo questo assunto di partenza basterebbe per
rendere questo uno dei film italiani "da vedere" della stagione, anche al netto della consueta visione esagerata dei sentimenti o della solita iperbolica voglia di gridare tutto. Una volta tanto si passa sopra volentieri alla recitazione presenzialista delle scene madri e dei tipici momenti in cui un attore mette in mostra se stesso invece del film. Alaska sembra fregarsene di tutto (e finalmente!). Non vuole decidere un'ambientazione, non vuole decidersi a dare struttura alla sua storia, nè equilibrio ai suoi personaggi, si abbandona al caotico vortice della sceneggiatura (ovviamente molto rigorosa e ben scritta per riuscire ad ottenere quest'effetto) ripetendosi, ritornando su punti che pensavamo conclusi (le molte prigioni), uccidendo personaggi come fosse niente e abbandonandone altri senza troppi convenevoli. Ciò che altrove potremmo elencare come difetti qui sono pregi, perché questa qualità espressiva
Alaska la mette a frutto, specie nella chiusa, quando vediamo per la prima volta del sentimento onesto e nudo, una dolcezza insperata che dopo un film di ottusa attrazione sembra spiegare tutto.
Come i migliori finali infatti anche questo disegna un raggio di sole tra le nuvole che cambia il senso di ciò che abbiamo visto fino a quel momento..
(Gabriele Niola , mymovies.it)! !

Sulle spalle di Elio e Astrid
Al terzo lungometraggio, Claudio Cupellini trova una misura congeniale e realizza il proprio miglior film,"Alaska", purtroppo apprezzato meno del dovuto alla Festa del cinema di Roma. Elio Germano, cameriere emigrato in Francia, per farsi bello con una ragazza, che si trova nello stesso
albergo a fare un provino, si mette nei casini e finisce in galera. Da lì, continua a scriverle per anni senza risposta, ma quando esce la trova ad aspettarlo. È l'inizio di una storia d'amore appassionata e violenta, altalenante, in cui il bene dell'uno sembra tragicamente implicare la sventura dell'altro: quando lei è una modella in ascesa lui è uno spiantato, poi lei ha un incidente e lui fa fortuna... Nella tenuta dell'insieme e in certe scene si sente l'ispirazione e il tocco del regista vero: c'è una scena di suicidio emozionante, magistrale, e certi scontri fisici tra i due amanti, certe tensioni, sono resi senza esibizionismo e senza freddezza. Elio Germano è bravissimo. Ha un'energia fisica contagiosa che ci fa credere subito al personaggio, e Astrid Bergès-Frisbey, nata a Barcellona da madre americana, sarà per molti una scoperta. Intorno a questa coppia, anche Valerio Binasco, che finora ha sviluppato soprattutto in teatro la propria dimensione, convince, alle prese con un personaggio un po' più letterario ma funzionale all'atmosfera. Certo, il film ha anche alcuni difetti vistosi. È allagato da una musica ordinariache, anziché sostenere i momenti forti, rischia di banalizzarli. Fa fatica a reggere le oltre due ore di durata e nel finale rischia di perdersi.
Ma ha un'idea forte, quasi un impulso, che lo sostiene: partire dal rispetto delle regole di un genere, in questo caso il mélo, non come pretesto intellettuale o come schema narrativo che garantisca la quadratura della narrazione. Cupellini prende sul serio equivoci e colpi di scena, e crede che possano raccontare personaggi di oggi. Personaggi che lui ama e segue, e che finiscono col restituire un momento e una società senza sociologismi. In queste vite tese al riscatto e all'autodistruzione, "Alaska" coglie un disagio cieco, un conato feroce verso il cambiamento, qualcosa di profondamente contemporaneo.
( L'Espresso, Emiliano Morreale)

Cupellini, un fragile melò!
…L’amore incontenibile tra due giovani più desolati che disperati riesce a proporre qualche intenso brano di passione e violenza, ma non a impreziosire la sceneggiatura di «Alaska». Il film conferma, infatti, la buona predisposizione di Cupellini e Germano a calarsi senza rete in un mondo marcio che ci sembra estraneo, ma con cui in realtà conviviamo; peccato, però, che l'insistenza di regista e protagonisti (c'è anche la solita francesina tutta sesso e sregolatezza) nel ricorrere al diapason melò finisca col trasmettere il senso di un'irrequietezza estemporanea e fragile nonché la mancanza di solide connessioni tra i fatti narrati a Parigi e Milano e i salti temporali e mentali che li contrappuntano. »
(Valerio Caprara, Il Mattino)

Un film a metà!
Metà italiano metà francese, metà melò metà (form)azione, metà incredibile metà poco credibile.
L'incontro fortuito fra i due protagonisti cattura subito l'attenzione, ma lo sviluppo della storia riesce a mantenerla viva a fasi alterne, il film si allunga enfatizzando senza ritegno i fallimenti più comuni.
Nonostante il ritmo serrato, quasi da film d'azione, la noia è in agguato, sottotrame e personaggi secondari vengono sacrificati alla folle corsa della coppia protagonista che però si lascia dietro una scia già svanita.
L'idea alla base del soggetto è mettere alla prova l'amore - o come si voglia chiamare il legame fra i due protagonisti - in una sorta di ricerca della felicità, molto diversa nello stile da quella di Muccino ma ugualmente orientata non verso una condizione, bensì verso singoli momenti di serenità.
La ricerca della felicità riprende da dove era appena partita, i due innamorati o quel che sono si trasferiscono nella casa di lei a Milano, dove lavora, vivono insieme e godono di una breve quiete filmica destinata presto a interrompersi. L'Alaska infrange la quiete e divide ancora i due
protagonisti. La felicità si perde drasticamente nella nebbia del furto e della vendetta, secondo un processo di accumulazione che non si priva di nulla: tradimenti, incidenti, lanci di tavoli, sedie, pistole, usura, pestaggi, omicidi e suicidi. Una sequenza di eccessi che rompe l'incanto,
l'incredulità tenuta sospesa con sforzo finisce per trasformarsi in impazienza, ed ecco che non siamo più nel cinema ma al cinema, seduti a controllare che ore sono.
.… L'Alaska rappresenta l'estremo nord, il polo che attrae l'odio e scatena la forza distruttiva e autodistruttiva. Quando Fausto entra in società con Sandro s'innesca un effetto domino che distruggerà tutto quanto lui e Nadine sono riusciti a costruire, e non solo. Il freddo - di Parigi, Milano, ma anche esistenziale - è una costante del film, ben sintetizzata dal neon sfrigolante dell'insegna Alaska: un effetto "freeze" messo in risalto dai grigi e dalle tonalità blu predilette dall'ungherese Pohárnok (già direttore della fotografia in "Una vita tranquilla" di Cupellini).
L'idea di seguire i personaggi con distacco, senza approfondire, lasciandone soltanto intuire i background, è una buona idea, come pure quella di liberarsi senza spiegazioni di personaggi secondari e potenziali sottotrame. La regia rincorre le evoluzioni dei protagonisti senza avvicinarli, ne racconta le emozioni intromettendosi raramente e comunque in un modo "filtrato", come ad esempio nella scena in cui Fausto supplica Nadine attraverso il vetro del bar o in quella che
riprende - dal basso, nella penombra - il povero Sandro alle prese con torta e pistola. E' un approccio destabilizzante che traduce la solitudine in una vita spinta al massimo, alimentata dal bisogno disperato di riprendere fiato.
Come in ogni ricerca di felicità che si rispetti, la disperazione è un tema dominante. I due resistono, non si arrendono, falliscono, si rialzano, ma sempre con disperazione.
(Lorenzo Taddei,ondacinema

scheda tecnica a cura di Stefano Bona

 



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